Arte e architettura africana, “ricchezza e festa nuova per tutta la famiglia umana”
Arte e architettura africana, “ricchezza e festa nuova per tutta la famiglia umana”1
Ferdinando Zanzottera
Il rapporto tra padre Costantino Ruggeri e l’arte africana è una realtà complessa che lo coinvolse nella sua interezza di artista, sacerdote, uomo di cultura e “missionario con le pietre e i mattoni”. Il suo primo impatto, certamente in gioventù, non avvenne in modo diretto ma attraverso la conoscenza e lo studio delle avanguardie artistiche europee, che guardavano alla naturalezza e alle sintesi formali dell’arte africana per giungere a un rinnovamento del linguaggio.
Nota è la sua passione per molti esponenti delle avanguardie, numerose sono le pubblicazioni a essi dedicate che nel tempo hanno trovato spazio nella sua biblioteca personale. Con curiosità osservava i tentativi di sottolineare gli aspetti emozionali, a discapito della narrazione descrittiva della realtà così come appariva, caratterizzanti l’espressionismo, e quelli di scindere la forma artistica dagli aspetti del mondo naturale dell’astrattismo, prediligendo un’espressività non geometrica che valorizzava soggettività e spontaneità del gesto creativo. Quest’interesse rimase costante lungo tutta la sua carriera e lo portò ad approfondire le scelte di numerosi artisti, tra i quali Matisse e Kandinskij, oltre che degli espressionisti astratti, degli informali e dei pittori fauves, tra i primi a interessarsi significativamente all’arte africana. È dunque evidente che la passione del frate di origine bresciana per l’arte del continente nero sia debitrice a questi artisti, dei quali apprezzava anche la grande capacità di sintesi evocativa del segno grafico, mirabilmente espressa soprattutto nei ritratti matissiani. Esemplare è La signora Matisse, che l’artista francese realizzò nel 1913 con evidenti segni memori delle maschere della popolazione Punu del Gabon e di altre etnie del continente africano.
L’interesse di padre Costantino per le avanguardie, negli anni Quaranta con connotazioni di autodidatta, nel periodo degli studi teologici s’intersecò con il linguaggio della stampa francescana, caratterizzato da una grafica figurativa estremamente semplice e sintetica, e dall’impiego di disegni al tratto facilmente riproducibili in stampe a grande tiratura e a basso costo, ottenendo risultanze evocative e chiaroscurali. Numerose riviste e testate degli ordini mendicanti e del terz’ordine francescano, infatti, ricorsero sempre più spesso a questo tipo di comunicazione visiva che, sebbene non riscontrasse l’interesse e il plauso di padre Costantino, ne influenzò alcuni primi lavori realizzati su eterogenei supporti cartacei. Ricezioni dalla frequentazione quotidiana della grafica francescana, dalla più alta arte delle avanguardie e dallo studio delle modalità di impiego dei materiali poveri osservato in Matisse, che negli anni Quaranta e Cinquanta realizzò splendidi découpages, sono evidenti nelle prime opere di Ruggeri, oggi conservate presso la Fondazione Frate Sole.
Senza titolo, circa 1943, china su carta, 21 × 29,7 cm. Pavia, Fondazione Frate Sole
Si tratta di semplici figure di uomini e donne, dipinte in nero, su fogli di carta che talvolta presentano grandi incorniciature dai colori vivaci (ad esempio verde e rosso); le loro silhouettes rivelano l’attenzione del frate per la cultura africana. Nella piccola serie di pitture realizzata “durante l’anno di noviziato” (1943), oggi raccolte nella cartella d’archivio denominata “Primi disegni a matita”2, non solo emerge tutta la sua attenzione per ambienti lontani, ma è evidente, seppure con palesi salti di scala, l’affinità con la ricerca matissiana, in particolare con alcune sue specifiche opere, tra le quali La danza (1909), Danza II (1910) e Ballo (1913).
In questi piccoli dipinti dal forte carattere ritmico evocativo, nell’espressività essenziale di silhouettes vagamente astratte, appare l’adesione più o meno conscia di padre Costantino alle ricerche di numerosi artisti europei che realizzarono figure umane monocrome su sfondi chiari, che trovarono la loro massima espressione nella serie Nudi Blu di Matisse nel 1952. A differenza di queste, le opere di Ruggeri sono più introverse e meno narrative; la danza rappresentata in una di esse evoca nella memoria dell’osservatore alcuni combattimenti cerimoniali del centro Africa. Elementi di contatto con l’arte di questo continente sono evidenti anche nell’opera policroma intitolata Adamo ed Eva da lui realizzata nel 1954 e che si classificò al terzo posto al Premio Marzotto3.
Attraverso un linguaggio più figurativo, nella seconda metà degli anni settanta il francescano ‘riprese’ i suoi primi disegni di studio della Madonna nera per la chiesa di Santa Chiara, da lui progettata a Nyamugari (Burundi). In essa non riuscì a raggiungere lo stesso pathos emotivo degli anni precedenti, forse anche in ragione di altre ricerche e interessi sopraggiunti.
Di questa più recente ricerca è nota la tempera su carta, datata 3 agosto 1978, raffigurante la Madonna in trono con Gesù Bambino seduto in grembo, appartenente alla collezione del frate-artista4.
Nella fedeltà alla cultura delle avanguardie, nel periodo del postulandato e del noviziato per lui coincidenti con gli anni drammatici della Seconda guerra mondiale, padre Costantino si concentrò sulla formazione teologica e religiosa, nello studio della storia dell’ordine, del suo fondatore, della complessità sociale dei temi della missionologia, dell’enculturazione e dell’acculturazione. Oltre che negli alti ambienti ecclesiali e nelle scuole teologiche conventuali l’attenzione all’Africa, e più in generale alle terre di missione, ebbe ampio spazio anche nelle pubblicazioni francescane, evidentemente note al giovane frate. Non deve dunque stupire la frequente trattazione dei temi missionologici anche nel periodico “Frate Francesco”, rivista fondata nel 1933 la cui direzione era stata affidata alla romana Commissione del Terz’ordine francescano. Essa, tuttavia, veniva amministrata a Milano dal Circolo di cultura Francese ed era posta sotto l’alto Patronato di padre Vittorino Facchinetti (vescovo di Nicio e Vicario Apostolico della Tripolitania).
Si tratta di una rivista non certamente secondaria, nel panorama dell’educazione francescana, anche in ragione della sua apertura alla modernità fortemente influenzata da Facchinetti. Religioso colto, laureato in scienze storiche medievali all’Università di Lovanio e in teologia a Milano, egli si dedicò all’evangelizzazione secondo lo spirito francescano impegnando tutti i mezzi offerti dalle nuove tecnologie. Fu un antesignano dell’apostolato telecomunicativo, aperto alle differenti forme d’arte e divulgazione culturale. Curò numerosi concorsi artistici, realizzò due pellicole cinematografiche su san Francesco e sant’Antonio, concepì i noti francobolli delle Poste Italiane dedicate al centenario francescano (1926), organizzò il Congresso eucaristico nazionale e intercoloniale di Tripoli (1937) e divenne il “primo oratore sacro” dei microfoni della RAI5.
Senza titolo, circa 1943, china su carta, 21 × 29,7 cm. Pavia, Fondazione Frate Sole
È evidente che molte delle sue idee, espresse soprattutto negli anni venti e trenta, non trovarono piena corrispondenza in Ruggeri che, tuttavia, anche vi apprese una libertà espressiva costantemente orientata alla ricerca del vero, aperta con interesse alla modernità. Della cultura e religiosità facchinettiana, ad esempio, il padre condivideva l’amore per il buon cinema e la propensione a non aver paura dei moderni mezzi di comunicazione di massa: radio, cinema e televisione, come attesta la traslitterazione, in pitture legate all’universo francescano, di attori e personaggi pubblici del piccolo e del grande schermo6, in un’apertura alla modernità non condivisa da tutti i frati, ma molto più diffusa negli ambienti francescani colti di quanto si pensi abitualmente. Lo conferma, sulle stesse pagine del periodico “Frate Francesco” già dal 1936 l’invito di Giuseppe De Mori ai lettori e alla Chiesa a impiegare tutti i mezzi disponibili, per evangelizzare il mondo e la terra d’Africa, comprese le moderne nuove tecnologie telecomunicative7. Nel medesimo anno, sulla stessa rivista scriveva Francesco Aquilanti:
Non è vero che San Francesco sia contrario al sapere e alla scienza. I Frati debbono coltivare tutte le proprie attitudini. Ad un certo sapere è decisamente avverso ed è quel sapere libresco, che fa della scienza e dell’arte fini a sé stesse. Si creano così i cerebrali, gli Amleti perennemente disputanti, inclini allo scetticismo e alla disperazione […]. Le Regole francescane non hanno alcunché di rigido e d’immobile; si adattano ai tempi. Il Francescano è libero ed originale. Vi è in Lui fantasia e liricità8.
Su padre Costantino influì ancora di più il dibattito promosso da eterogenei ambienti cattolici e da numerosi vescovi, che si impegnarono in prima persona per promuovere una moderna riflessione sul valore e sul significato dell’evangelizzazione e sulle metodologie di incontro con culture e religioni differenti che, in ambiente francescano, coincideva con il recupero dell’identità del fondatore. San Francesco, infatti, concepiva la predicazione missionaria “costitutivamente apostolica” e aderente al carisma dell’esperienza fraterna fondata ad Assisi9.
Ruyigi (Burundi), alcune caratteristiche capanne d’abitazione costruite in legno, paglia e fango. Fotografia di padre Costantino Ruggeri, 1980. Pavia, Fondazione Frate Sole
Ruyigi (Burundi), particolare di una capanna costruita in legno, paglia e fango. Fotografia di padre Costantino Ruggeri, 1980. Pavia, Fondazione Frate Sole
Tra le maggiori personalità impegnate nel dibattito e nel rinnovamento degli atteggiamenti della Chiesa, vi furono il cardinal Charles-Martial Allemand Lavigerie, monsignor Alphonse Van Uytven, l’arcivescovo Celso Costantini e l’arcivescovo Giovanni Dellepiane che, nel 1936, organizzò a Léopoldville la prima esposizione di arte cristiana africana. Quest’ultimo fu tra i primi a promuovere un movimento interno alla Chiesa affinché la liturgia e l’arte sacra rispondessero pienamente alle istanze provenienti dalla cultura dei luoghi di missione. Per lui, infatti, la cultura e l’arte potevano, e dovevano, costituire uno strumento di preminente evangelizzazione e, per questa ragione, erano da rifiutare categoricamente le istanze di europeizzazione. Nella monografia dedicata dalla rivista “L’Artisan Liturgique” all’esposizione di Léopoldville il monsignore esortava a operare nel rispetto delle espressioni artistiche locali. Sotto l’impulso della Chiesa in cammino molti ordini religiosi si impegnarono, da allora, nella promozione artistica “indigena”; particolarmente significativa in questo campo fu l’esperienza dell’Istituto delle Suore Francescane Missionarie di Maria, aggregato sin dal 1882 all’Ordine dei Frati Minori, dalla quale ebbe origine la raccolta di opere oggi conservate nel Museo missionario lateranense.
Ruyigi (Burundi), un anziano del villaggio ripreso davanti a un edificio costruito con pietre locali. Fotografia di padre Costantino Ruggeri, 1980. Pavia, Fondazione Frate Sole
Ruyigi (Burundi), un bambino ripreso davanti a un edificio in mattoni cotti al sole. Fotografia di padre Costantino Ruggeri, 1980. Pavia, Fondazione Frate Sole
Il dibattito degli anni Trenta, inevitabilmente in parte connesso ai temi della colonizzazione, portò a una maturazione delle riflessioni sull’arte in ambiti religiosi, espresso, non senza qualche difficoltà, anche attraverso la Congregazione di Propaganda Fide, che si scontrò con le abitudini e la prassi edilizia di molte comunità religiose. Numerose furono le voci autorevoli del dibattito al quale partecipò anche il movimento nato attorno alla rivista “L’art sacré” allora diretta da Joseph Pichard, testata ben nota a padre Costantino che ne leggeva avidamente ogni articolo e della quale nella sua biblioteca si conservano le annate comprese tra il 1952 e il 1969. L’interessamento organico dell’artista francescano al tema emerse a partire dalla sua ordinazione sacerdotale (1951) e a seguito di un’acquisita autonomia pastorale, collegata dall’ordine alla sua vocazione di frate-artista. Mentre dipingeva e consolidava i rapporti con il contesto culturale milanese facente capo alla Galleria San Fedele di Milano che nel 1951 ospitò la sua prima mostra di pittura presentata da Mario Sironi, egli entrò in rapporto anche con altre importanti riviste di arte sacra, come “Arte e Fede”, dove sarebbe stato presente anche l’amico e confratello padre Nazareno Fabbretti.
In questi anni, sui problemi del continente africano e sui processi missionologici, si espressero anche il Sant’Uffizio e la Commissione episcopale per la pastorale, la liturgia e l’arte sacra della Chiesa francese, con immediata segnalazione ne “L’art sacré”, che auspicavano l’eliminazione delle immagini stereotipate, realizzate industrialmente, a vantaggio di forme artistiche più evolute e personalizzate. In questo periodo l’arte dell’Africa e dell’Estremo Oriente non erano ancora emblema dell’inculturazione, termine coniato solo negli anni settanta per differenziare il nuovo atteggiamento dai precedenti, denominati, di volta in volta, acculturazione, enculturazione, transculturazione, accomodazione, indigenizzazione e localizzazione. Ma, già in questi anni padre Costantino consolidò la propria interpretazione dell’arte ‘primitiva’, con la quale si era interfacciato nei decenni precedenti, anche perché coincidenti con la pubblicazione di numerosi volumi dedicati all’arte africana di specifiche etnie e aree geografiche. Ruggeri entrò infatti in contatto con gli studi dello storico e critico Werner Schmalenbach e consolidò la conoscenza delle maschere dell’Africa occidentale attraverso gli studi di Leon Underwood, considerato “Il precursore della scultura moderna in Gran Bretagna”10 fortemente influenzato dal linguaggio formale delle Isole Cicladi e dell’arte africana, autore inoltre di differenti volumi sull’arte del continente nero, tra cui celebre divenne Bronzes of West Africa, del 1949, e ancor di più Masks of West Africa, del 1952, anch’esso conservato nella biblioteca privata del frate lombardo.
Maschera copricapo della popolazione Batcham del regno Bamileké della regione nord-occidentale del Camerun, altrimenti noto come “sedia-maschera”. Collezione padre Costantino Ruggeri
Maschera cerimoniale della popolazione Bamum indossata come copricapo dai danzatori. Collezione padre Costantino Ruggeri
Testa di bronzo del popolo nigeriano Edo, della regione di Ife, raffigurante l’Oba, re e capo religioso. Collezione padre Costantino Ruggeri
Gli anni Cinquanta e sessanta coincisero con il suo crescente interesse per l’arte africana, ora sempre più indagata nelle componenti di cultura-religiosa e meno nelle implicazioni formali ed espressive. Egli sembrò anche disinteressarsi di tematiche prettamente etnografiche, come dimostra la sua personale collezione d’arte africana costituita, tramite reiterati acquisti e acquisizioni, nei decenni successivi. Le letture degli anni precedenti, la partecipazione al dibattito culturale riproposto periodicamente da “L’art sacré” che, nel 1962, dedicò un numero doppio all’arte sacra africana, rinnovato dalla rivista “Chiesa e quartiere”, trovarono sintesi interpretativa in alcuni scritti di padre Costantino. Nel 1967, ad esempio, pubblicò un breve saggio nella rivista “Missioni Francescane”, nel quale raccolse riflessioni sull’arte e sull’architettura delle missioni, definendole “annotazioni rapide” emerse dal suo “vagabondaggio estivo”.
Vi scrisse:
Bisogna smetterla di inviare nelle missioni materiale scartato dalle nostre chiese e sacrestie, o le rimanenze che non si smerciano più nelle botteghe dei mercanti del tempio. Ho visto nelle chiese di missione statue di una sciatteria e volgarità indescrivibili, immagini che insultano la religione e il buon gusto […]. Si devono dissuadere i missionari dal far eseguire dagli artigiani locali copie di opere d’arte di autori occidentali e dal presentare le figure di Cristo, della Madonna e dei Santi con i nostri caratteri somatici. Operando così, si potrebbe incorrere nel rischio gravissimo di un razzismo religioso, quasi che Cristo, la Madonna e i Santi disdegnino di avere la faccia di un negro o di un cinese.
In questi casi, si distolgono popoli semplici, ma vivi, dai loro autentici valori culturali e umani […]. Guaio peggiore è favorire il pregiudizio che tutto ciò che è occidentale, importato, sia meglio del loro patrimonio culturale e artistico! Sarebbe inoltre una vera offesa alla verità sottovalutare o disprezzare ciò che vi è di vivo, di genuino, di sano, in un luogo o in un popolo, per introdurre mentalità, costumi e tradizioni straniere […]. Per quanto riguarda le chiese, occorre costruire in armonia con l’ambiente e con gli edifici civili.
La chiesa deve accogliere la comunità cristiana e perciò sarà più grande della casa privata, ma deve anche fraternizzare con essa. Sia costruita con gli stessi materiali, si ispiri agli stessi sistemi costruttivi; la progettazione sia affidata ai professionisti più capaci del paese; insomma abbia il colore e il calore della natura che la circonda e del cielo che la copre. La chiesa deve essere architettura vera, giusta, sana, dalla terra e del popolo tra cui nasce, e non una specie di strana navicella spaziale approdata lì per caso. Nelle raffigurazioni sacre bisogna adattarsi al linguaggio e al simbolismo locale […]. La progettazione artigiana del luogo fornirà gli oggetti liturgici, con forme e materiali consueti all’arredamento delle case indigene. Nelle missioni tutti gli elementi dell’arte sacra cristiana devono essere l’espressione spontanea e naturale del volto di una terra e del cuore di un popolo, in cui Cristo possa essere accolto come fratello e non come uno straniero11.
Questa lunga citazione è esemplificativa della sua posizione maturata nei confronti dell’arte e dell’architettura da realizzare nei luoghi di missione. Essa è ben lontana dall’interesse per le forme dell’arte africana dimostrata nel primo periodo della sua attività di pittore e scultore, essendo ora occasione per una riflessione religiosa secondo lo spirito francescano prima ancora che estetica. Era una posizione maturata nel corso del tempo, compiutamente e sinteticamente espressa nell’intervista rilasciata a padre Nazareno Fabbretti nel 1995 per essere pubblicata sul volume Spazi di luce12 e con lui condivisa, in occasione di viaggi studio nelle missioni francescane sparse nel mondo. In questo processo di riflessione e scambi, l’artista e sacerdote bresciano cambiò radicalmente il proprio approccio interpretativo delle forme d’arte del continente nero, riscoprendone un significato profondo, più direttamente connesso con la propria identità di religioso francescano.
Fu un cammino di personale maturazione, culturale e critica, col quale si intrecciarono numerosi altri fattori legati alla storia dell’ordine e alla sua attività di frate-artista. Nel 1983 il Ministro generale, padre John Vaughn, diede avvio al “Progetto Africa” che intese rinnovare in chiave contemporanea il carisma e l’impulso missionario di san Francesco, aderendo pienamente alle istanze di rinnovamento sancite dal Concilio Vaticano II e dal decreto Ad gentes dedicato all’attività missionaria della Chiesa, promulgato il 7 dicembre 1965, da Paolo VI unitamente ai padri conciliari. È in questo contesto che all’interno dell’Ordine dei Frati Minori si aprì un grande dibattito di rilevante riscontro a partire dal Capitolo Generale di Medellin del 1971, che suggerì al Ministro Generale di scrivere una lettera a ogni frate affinché rispondesse alla chiamata missionaria della Chiesa e del nuovo progetto interprovinciale. Il dibattito interno che ne emerse investì inevitabilmente molti aspetti della missionologia e dell’africanità, che per padre Costantino costituirono occasione per nuove sollecitazioni e riflessioni sull’“arte nera”.
Porta di un granaio, o “case per la conservazione del grano”, dell’altopiano di Bandiagara appartenente alla popolazione Dogon. Collezione padre Costantino Ruggeri
L’intenzione del Ministro e del Capitolo generale di coinvolgere solo confratelli “adeguatamente preparati”, disposti a studiare attentamente le lingue e le culture africane, costituì per lui un incentivo non secondario per continuare a confrontarsi con l’arte di questo continente. Un interesse ben presto chiamato a divenire attività professionale con l’incarico di costruire tre chiese in Burundi sul finire degli anni settanta, affidatogli dalla Provincia minoritica di Genova. Nel 1978, dunque, padre Costantino iniziò la progettazione per la piccola chiesa di Santa Chiara a Nyamugari (Burundi), la cui costruzione ebbe avvio l’anno successivo e terminò nel 1980. Nel frattempo, insieme all’architetto Luigi Leoni, cominciò a progettare la chiesa di San Francesco a Kayongozi (1979), la cui costruzione ebbe inizio nello stesso anno e si concluse nel 1983. Terminata questa seconda avventura, nello stesso anno la Provincia genovese dei Frati Minori gli affidò l’incarico di progettare, insieme a Leoni, la chiesa succursale di Nyakayi, i cui lavori si protrassero dal 1983 al 1987. In questi anni Ruggeri viaggiò molto; si recò in Africa, nel Burundi, dove realizzò significativi reportage fotografici di cui restano preziose testimonianze nell’archivio della Fondazione Frate Sole. In esse l’arte africana è pressoché assente o molto limitata, mentre risulta ampiamente documentato il suo interesse per la conoscenza e la comprensione degli spazi di vita comune delle popolazioni del Burundi. I suoi scatti indugiano sul paesaggio, sugli attrezzi da lavoro e di pesca, sulle piroghe ricavate da tronchi scavati, sulle architetture locali e su alcuni momenti della vita quotidiana. Sebbene esistano fotografie ‘di rito’, scattate con i personaggi in posa, è evidente la sua predilezione per le fotografie ‘rubate’ in cui il soggetto è ritratto nella spontaneità gestuale di chi è ignaro di quanto sta accadendo. Questi scatti, però, rivelano anche il pudore e la delicatezza dell’approccio con il quale padre Costantino si avvicinava ai suoi ‘fratelli africani’, quasi con il timore di disturbare e ‘violentare’ con la macchina fotografica. Numerosi scatti, infatti, sono eseguiti da lontano, da dietro gli alberi o con i soggetti che gli voltano le spalle. Sperimentò allora una tecnica fotografica personale che gli consentì di narrare il suo peregrinare per il Burundi senza essere distolto dall’interesse, finalizzato all’impegno di costruire chiese, per le architetture povere, i recinti, i muri di fango e i disegni dei bambini incisi a graffito nelle murature. Disegni semplici dell’arte infantile sui quali il frate indugiava con gioia, che rappresentano aspetti della quotidianità (come il lavoro nei campi e il gioco del pallone) e gli animali che popolavano la vita del villaggio (ad esempio galli, galline e polli), tracciati su murature importanti per padre Costantino, perché “i muri e i tetti delle loro capanne i negri li realizzano con estrema facilità, cantando. E sono muri belli […] I muri di ‘poto-poto’ (fango)”, e aggiungeva:
[…] gli Africani li fanno con le mani, cioè li modellano come corpi umani. Quei muri non sono freddi, spigolosi, anonimi. Sono fatti dall’uomo, non dalla macchina. Vedendoli, ti vien da pensare che il Creatore, nel plasmare il primo uomo, debba aver avuto nelle sue “mani” la medesima innocenza di questi innocenti. Hanno calore, morbidezza, eleganza, estro. E ti vien voglia di accarezzarli13.
Ruyigi (Burundi), fotografia di alcuni graffiti zoomorfi realizzati su un edificio del villaggio (fotografia di padre Costantino Ruggeri, 1980). Pavia, Fondazione Frate Sole
Ruyigi (Burundi), fotografia di alcuni graffiti che raffigurano uomini e animali realizzati su un edificio del villaggio (fotografia di padre Costantino Ruggeri, 1980). Pavia, Fondazione Frate Sole
La capacità di leggere la realtà, che gli si offriva attraverso il mezzo fotografico, e il desiderio di comprendere pienamente l’Africa lo spinsero a mutare radicalmente il proprio atteggiamento nei confronti dell’arte e del continente. Emblematici sono i suoi appunti che dimostrano come, da oggetti semplici di uso quotidiano e da elementi della natura egli sapesse cogliere l’ispirazione per creare nuove opere d’arte o progettare architetture. Si stupiva di continuo della natura, intravedendo in essa infinite possibilità creative. In tutti i viaggi da lui fatti, in Africa e in Oriente, incontrò gente, visitò monumenti, fotografò e riportò su grandi quaderni e album le proprie impressioni prestando attenzione a ogni particolare, fino a cogliere in un sasso trovato per terra la forma finita di una chiesa. Con grande libertà tratteneva in sé tutto quello che vedeva; lo sguardo con il quale fotografava i popoli, le loro architetture, le loro espressioni d’arte non si traduceva meccanicamente in linguaggio figurativo, poiché era in primo luogo un abbraccio culturale spalancato alla trascendenza e alla creatività artistica. Attraverso l’Africa e l’“arte nera” Ruggeri apprese a guardare con rinnovata intensità; in questo modo tutto ciò che vedeva divenne una differente declinazione del Cantico delle creature di san Francesco rigenerato dall’uomo africano. In questo periodo entrò in una familiarità profonda con i linguaggi del ‘terzo mondo’, ritrovandovi feconde corrispondenze con la propria. Ne trasse una sorta di linfa vitale che contribuì all’esplosione del proprio immaginario figurativo consentendogli di comprendere più a fondo la realtà assunta ed esaltata dalla propria sensibilità umana. In qualche modo il rapporto con l’Africa, l’esperienza del Burundi e l’occasione di costruire numerose altre chiese, unitamente alla possibilità di esprimersi attraverso il vetro e i materiali poveri, gli consentirono di esperire con rinnovato fulgore il suo stesso essere francescano e artista. Senza paura di smentita l’Africa divenne per lui occasione di riflessione su tutta la sua esistenza: memoria dell’intera storia personale di uomo, frate, sacerdote, pittore, artista e architetto.
Forse proprio per questa ragione egli cominciò a comperare maschere provenienti da tutta l’Africa. Di esse ne riempì il suo studio pavese e se ne circondò. Le pose alle pareti, le adagiò sulle travi e le dispose per terra raccogliendo anche pezzi antichi di indiscusso valore. La sua cospicua raccolta di circa 200 opere, oggi conservata in differenti ambienti del convento di Canepanova a Pavia e nei locali in uso alla Fondazione Frate Sole, comprende indistintamente, solo per fare qualche esempio, bronzi Dogon, maschere camerunensi della popolazione Bamum, croci e icone copte, espressioni artistiche Mandé e Dan, sedie-maschere Bamileké, maschere antropo-zoomorfe “Atua Afungo” della regione nord-ovest del Grassland, sculture Guro provenienti dalla zona forestale interna della Costa d’Avorio, bracciali-moneta Dogon, e altri soggetti ancora.
Padre Costantino Ruggeri nel suo studio (2004). Pavia, Fondazione Frate Sole
Padre Costantino Ruggeri nel suo studio insieme a Richard Meier (4 ottobre 2004) in occasione della consegna all’architetto statunitense del Premio Internazionale di Architettura Sacra “Frate Sole”. Pavia, Fondazione Frate Sole
Le fece schedare molto sommariamente dai suoi collaboratori, ai quali, però, non chiese di studiarle. Per ogni scultura o maschera fece realizzare una riproduzione fotografica da incollare su cartoncini colorati, dietro ai quali fece scrivere un titolo assolutamente generico (ad esempio statua africana, maschera africana o testa in bronzo dell’Africa), la materia o la tecnica esecutiva, le misure e la precisa collocazione all’interno del suo studio14. Da queste richieste si deduce che a padre Costantino non interessava la provenienza dell’oggetto e il suo valore etnografico, ma esclusivamente la sua vaga dimensione antropologica. Probabilmente a lui bastava relazionarsi con questi oggetti perché prodotti dall’uomo africano in quanto tale, non in quanto appartenente a una specifica etnia o gruppo sociale. Essi erano per lui interessanti in quanto testimonianze di una cultura antica e vitale capace di generare oggetti di grande espressività e potenza evocativa. Per questa stessa ragione non distinse le diverse funzioni delle sculture; l’insieme conteneva infatti anche oggetti africani di uso quotidiano, come uno sgabello-poggiatesta, un cucchiaio di legno, un vaso in terracotta, una ciotola lignea o strumenti musicali.
Questa significativa raccolta, che attende ancora di essere pienamente valorizzata e attentamente studiata, era per lui richiamo costante all’incontro, nel carisma francescano, della Chiesa con le diverse culture, in adesione alle sfide del futuro profeticamente annunciate dal Concilio Vaticano II. Gli oggetti disseminati ovunque nel suo studio testimoniano il profondo sentimento missionario di padre Costantino, che traspare anche nelle prediche degli anni Ottanta, in particolare in quella pronunciata in occasione della XX domenica del tempo ordinario, nella quale, facendo riferimento ai suoi viaggi in Oriente e in Africa, ebbe modo di dire:
Guardandomi attorno, certamente ho visto segni significativi della fede e dell’amore cristiano, ma anche quante testimonianze della nostra presunzione, della nostra vanità! Intanto, le barriere della razza! Per diversi Padre Costantino Ruggeri nel suo studio (2004). Pavia, Fondazione Frate Sole Padre Costantino Ruggeri nel suo studio insieme a Richard Meier (4 ottobre 2004) in occasione della consegna all’architetto statunitense del Premio Internazionale di Architettura Sacra “Frate Sole”. Pavia, Fondazione Frate Sole secoli, la nostra è apparsa la religione dei bianchi portatori di civiltà terrena e di salvezza eterna ai popoli non bianchi. Barriere di cultura: abbiamo portato il Vangelo legato a una cultura “nostra”, profondamente estranea alla cultura indigena, e una liturgia di segni indecifrabili al vivere quotidiano di quella gente […]. Nonostante lo spirito evangelico del Concilio Vaticano II, ci sono molti che ancora considerano intangibili tante tradizioni, forse venerabili nel passato, ma ormai morte e apportatrici di morte. Molti rimpiangono i vecchi riti, le pratiche devozionali ormai abbandonate e vedono nel rinnovamento liturgico quasi una deviazione della fede e un sentore di eresia, perlomeno, un affievolirsi delle pratiche religiose.
Amici […] la vita si rinnova. Il Vangelo è novità; il cristiano deve sempre operare una rinascita interiore, com’è legge vitale dello Spirito che ci anima. Coloro che sono ancorati al passato senza il coraggio del presente e dell’avvenire si ripiegano su sé stessi, senza guardare il Cristo che sta davanti, sulle strade degli uomini, perché Lui è sempre e soltanto nella felicità e nella disperazione dell’uomo15.
1 C. Ruggeri, L. Leoni (a cura di), Spazi di luce, Elledici, Torino 1995, p. 67.
2 Archivio Fondazione Frate Sole, cartella “Primi disegni a matita”.
3 Collezione “I premi Marzotto”.
4 Collezione Padre Costantino Ruggeri. Opera pubblicata senza firma e data in A. Sabatucci (a cura di), Costantino Ruggeri. L’architetto di Dio, Skira, Milano 2005, p. 100.
5 A. Fappani (a cura di), Enciclopedia bresciana, La voce del popolo, Brescia 1978, vol. 3, ad vocem.
6 Per questo tema si rimanda al saggio di Maria Virtus Zallot presente in questo stesso volume.
7 G. De Mori, La vocazione africana di S. Francesco e l’Italia Imperiale, in “Frate Francesco”, IV, 1936, 4, pp. 205-208.
8 F. Aquilanti, S. Francesco e i tempi nostri, in “Frate Francesco”, IV, 1936, n. 3, pp. 161-168. 9 Voci Predicazione, predicatore e Missione, mandato, in E. Caroli (a cura di), Dizionario francescano, Messaggero Padova, Padova 1983, coll. 1413-1430; 1007-1022.
10 C. Neve, Leon Underwood,Thames and Hudson Ltd, London 1974, p. 2.
11 Dattiloscritto conservato nell’Archivio della Provincia Sant’Antonio dei Frati Minori in Milano. Appunto trascritto, sprovvisto di segnatura.
12 Ruggeri dichiara: “Il loro scopo [delle avanguardie artistiche] era diverso dal mio, essi si rifacevano alla vita e all’arte di quei popoli primitivi per uscire dalle secche della cultura europea. L’arte negra in modo particolare fu per essi fonte di ispirazione, quasi un ritorno alle origini per nuove ebbrezze di creatività. Pensa ad alcune opere cubiste di Picasso, di Modigliani, di Brancusi. Anch’io andai in Africa non però per scrollarmi di dosso la cultura occidentale, ma per farmi il cuore e gli occhi degli Africani. Lo ritenevo un fatto essenziale per operare con onestà in quel continente. Pensavo: ‘E certamente anche le opere che poi farò nel mio paese ne ricaveranno linfa, genuinità e slancio’”. Ruggeri, Leoni (a cura di), Spazi di luce cit., p. 67.
13 Ruggeri, Leoni (a cura di), Spazi di luce cit., 69.
14 Schedatura di queste opere presso lo studio dell’architetto Luigi Leoni, in cinque quadernoni ad anelli sprovvisti di segnatura.
15 Archivio storico della Provincia Sant’Antonio dei Frati Minori a Milano, Prediche di padre Costantino Ruggeri, quaderno manoscritto 5°.