Le ragioni di una riflessione corale

Le ragioni di una riflessione corale
Maria Antonietta Crippa

Il celebre storico americano Kubler1 ha ricordato, anni fa, che tra il mestiere dell’astronomo e quello dello storico dell’arte, in tutte le sue espressioni, esiste una singolare affinità di scopo, conseguente al fatto che ambedue studiano fenomeni di luce già spenta eppure tuttora visibile. Essi sono: per gli astronomi, le brillanti stelle estinte che tutti possiamo ammirare in una notte limpida; per gli storici, i fatti eminenti di una cultura non più recuperabile nella sua integrità ma che ha lasciato tracce di splendore in capolavori d’arte, oltre che di ‘cose’ o strumenti d’uso, visibili e godibili nel nostro tempo. Unico scopo di astronomi e storici è restituire piena visibilità, far apparire, cioè, al meglio, per meglio comprenderlo, l’oggetto del proprio interesse.

Il richiamo è qui utile per far comprendere le ragioni dell’indagine corale che si propone in questo volume: gli autori hanno inteso fornire l’attrezzatura indispensabile che consenta di far apparire la grandezza, umana e d’artista, di padre Costantino Ruggeri (1925-2007) ora troppo poco nota, anzi a rischio di dimenticanza, forse per una sempre più diffusa superficialità estetica collettiva. Le loro indagini e ricostruzioni storiche e il lavoro accurato di presidente e membri della Fondazione Frate Sole, prodotte per fornire conoscenze di base e selezionare documenti e immagini a fini documentari, non hanno certo pretese di completezza. Questo libro, pensato in dimensioni contenute, vorrebbe al contrario segnare l’inizio di una riscoperta, quindi di una doverosa storicizzazione che esige l’esplorazione di molti archivi, la rivisitazione puntuale di una vasta pubblicistica, de visu anche di tutte le sue architetture.

Nel programmarlo, a causa della multiforme e davvero molto ampia produzione artistica di Ruggeri, ci si è resi subito conto dell’imprescindibile necessità di individuare un punto di vista adeguato a farne emergere ciò che la fonda in unità e che, pertanto, riverbera immediatamente la sua singolarità di uomo che è stato pittore, scultore, artigiano, archi- tetto sui generis, poeta, scrittore, oltre che, dati di fatto importanti, sacerdote e frate francescano che ha attraversato quasi per intero il XX secolo e si è affacciato sul XXI.

Jean Clair è di recente esploso in un grido di identificazione della drammatica densità del nostro oggi privo di utopie: “Il chiavistello del futuro è saltato, ed è il tempo nella sua pienezza che ci viene restituito. Tempo profondo, profuso, contradditorio, senza alcuna segnaletica imposta, tempo in cui i fenomeni d’arcaismi, d’investigazioni del passato, di ritorni, cessano di urtarsi all’obbrobrio di cui furono oggetto al tempo dell’ideologia futurista, per ridiventare ciò che sono sempre stati: spinte e risorse, possibilità accresciute di libertà”2. Padre Costantino ha anticipato, nella sua attività d’artista, questo primato di un presente come tempo di pienezza restituita, senza però vivere la cruda amarezza che attraversa il pensiero di Jean Clair, perché non ha sperimentato alcun rifiuto delle avanguardie, dalle quali ha anzi estratto di continuo contributi per lui indispensabili, affidandosi inoltre all’universo dell’arte di antica fon- dazione, purché fosse viva nelle culture dei popoli.

C’è un’intuizione felice nella sua messa a fuoco del principio dello spazio mistico, sfuggente alla complessità del sacro universale – nell’allontanamento dalla costella- zione semantica tra sacro, santo, religiosità, religione, divenuta dagli anni Settanta fino a oggi un vasto contesto di studi – ma impegnato ad affermare l’infinito mistero, di presenza umano-divina di Cristo nel mondo, nella propria ricerca artistica. Conoscendo infatti, per confidenza quotidiana col mistero cristiano, la sua attualità anche storica nella compagine ecclesiale e quindi la sua forza persuasiva negli uomini semplici, a quello decise di affidarsi.

Ma di quale senso mistico si trattasse, ha scritto un suo amico, si poteva “dedurre subito dalla sua stessa robusta corporatura, dal suo tronco proteso, le braccia ampiamente gesticolanti, per farsi strada con irruenza in una giungla di idee entusiasmanti e di umane contraddizioni”, e dallo sguardo “dietro le palpebre socchiuse, protettive dei lunghi momenti di una violenta concentrazione del discorso” per rivolgerlo “tonante, vibrante, contro le vetrate in costruzione nell’officina troppo stretta per la spirituale monumentalità del suo lavoro e per l’espansiva, affollata apprensione della sua parola”3. Il suo spazio mistico è vitalmente energico, incarnato nell’esperienza di incontro con gli uomini e con il mondo creato.

In un certo senso egli lo ha ereditato direttamente da san Francesco d’Assisi. Il solido ancoraggio alla sua memoria e alla tradizione da lui generata, ci è parso la chiave più stringente per la comprensione dell’unità che struttura le diverse espressioni artistiche di Ruggeri. Felice congiuntura ci è sembrata, a questo proposito, la connessione cronologica tra il 2019, data della pubblicazione di questo libro, e quel 1219 nel quale il santo assi- siate fece visita al sultano al-Malik al’Kamil a Damietta, in Egitto.

1 G. Kubler, La forma del tempo. La storia dell’arte e la storia delle cose, Einaudi,Torino 2002.
2 J. Clair, Considerazioni sullo stato delle belle arti. Critica della modernità, Abscondita, Milano 2018, pp. 89-90.
3 G. Ferri, Il gesto della spoliazione. Costantino Ruggeri france- scano e architetto, La Locusta,Vicenza 1980, p. 49.