Perdonami se non ti ho messo l’aureola
“Perdonami se non ti ho messo l’aureola”1
Virtus Zallot
Un francescano pittore
“Essendo non meno stato eccellente pittore e miniatore che ottimo religioso, merita per l’una e per l’altra cagione che di lui sia fatta onoratissima memoria”2. Le parole con cui Giorgio Vasari introduce la Vita di Beato Angelico ben si adattano a Costantino Ruggeri: ottimo religioso ed eccellente artista, francescano pittore e pittore francescano. “Frate fin dall’inizio volevo diventare – ricordava Ruggeri – il parroco del mio paese e il mio zio prete volevano che diventassi prete e invece io no. Io voglio diventare frate”3.
Pittore, con altrettanta determinazione, era diventato iniziando con i disegnetti che decoravano i biglietti augurali per i superiori, copiando le opere celebri del passato, portando negli occhi e nel cuore le immagini affrescate nelle chiese del paese natale Adro e scoprendo, ancora in ginnasio, l’arte con- temporanea in “Il Frontespizio”4, che “proprio era una rivista moderna”5. Vocazione religiosa e vocazione artistica crebbero insieme e, per tutta la vita, Ruggeri esercitò nell’arte il lavoro manuale che, nella Regola non bollata, Francesco prescriveva ai fratelli concedendo loro “gli arnesi e gli strumenti necessari”6 per esercitare “quel mestiere che già conoscono”7. L’arte, per Ruggeri, “oltre a essere festa per gli occhi e lume per lo spirito, diventa rivelazione del divino nel mondo, presenza poetica, svelamento dei segreti della terra e profezia di quelli del cielo”8. Non, dunque, strumento didattico e divulgativo che ammaestra, descrive o racconta ma dispositivo che agisce, “forma che rivela. Non ‘mira’ a nulla, ma ‘significa’; non ‘vuole’ nulla ma ‘è’”9; luogo in cui “mettersi in silenzio, raccoglier- si, entrare, guardare con occhi desti e anima aperta, spiare, rivivere”10. Gli stessi sacerdoti avrebbero dovuto coraggiosamente accoglierla ritrovando, come auspicava Paolo VI, la secolare amicizia con gli artisti e rinunciando “ai surrogati, all’oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa”11. Frate, sacerdote e artista, Ruggeri si mise a disposizione della Chiesa in molte chiese, accolto talora con diffidenza e in alcuni casi con ostilità, ma conservandosi lieto: poiché la perfetta letizia non deriva dai successi di cui “non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio”12, ma “è di vincere sé medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi”13. Nel ricordo di chi l’ha frequentato, Ruggeri aderiva anche al seguente sollecito di Francesco: “E si guardino i frati dal mostrarsi tristi all’esterno e oscuri in faccia come gli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore e giocondi e garbatamente allegri”14. Pur tuttavia, se la sua arte pubblica canta con gioia Dio e la bellezza del creato, quella privata (esercizio quasi quotidiano praticato nella cella-atelier) registrò anche “pene, ingiurie e obbrobri e disagi” d’uomo, e degli uomini.
Storie di san Francesco, 1949, affresco, particolari. Busto Arsizio (Varese), convento dei Frati Minori
Poiché il suo volto interiore fu “sempre esemplato, modellato sul volto di Francesco”15, la sua vita e la sua arte furono integralmente francescane. L’appartenenza all’Ordine non gli fu ostacolo ma “al contrario: un grande aiuto. Per un artista è la condizione ideale. Ho visto artisti che sono stati rovinati da una vita troppo mondana”16. La lieta povertà dei Minori gli garantiva la libertà. Non bramando il successo, si mantenne indipendente dai gusti del pubblico e dai meccanismi del mercato, dichiarandosi “pronto a rinunziare a tutto pur di non vendermi e di non arrendermi alle mode”17. Aggiungeva: “il fatto del giudizio altrui non mi ha mai infastidito o preoccupato. Cammino come posso, e cerco anche di volare”18. Ribadiva, inoltre, “non mi sono mai pentito di aver dovuto rinunziare a qualche incarico importante per non tradire la bellezza”19. La povertà e la libertà furono tuttavia mezzo e non fine. La povertà, come osservava Raoul Manselli a proposito di san Francesco, fu condizione che “porta a compimento la scelta della disponibilità verso gli altri, dell’amore verso gli altri”20. Ruggeri donava infatti il proprio lavoro o ne donava i proventi, per esempio mettendo in vendita opere per contribuire al finanziamento di progetti che il committente-sacerdote faticava a sostenere. La libertà gli fu premessa e promessa, poiché “i francescani soprattutto, a partire proprio da Francesco, sono per eccellenza la testimonianza nel mondo della libertà dello spirito che diventa amore”21: amore che egli inverò nelle sue opere. Ruggeri, infine, fu francescano in umiltà e sobrietà. L’umiltà essendo “l’unica misura che garantisce il senso della realtà, di sé stessi”22. La sobrietà come pratica anche artistica. Egli deprecava il superfluo, la piacevolezza e i manierismi. Facendo talora di necessità virtù utilizzava utensili, colori e supporti poveri, anche di recupero, vivendo tuttavia tale condizione come opportunità e non limite poiché gli strumenti più umili “possono anche trasformarsi in strumenti di poesia e di canto”23. Amava infatti i suoi “pennellacci duri e sfilacciati”24 e ricordava: “non li ho mai gettati nella spazzatura. O li bruciavo o li seppellivo”25 poiché “il pennello lo sento come un prolungamento del mio corpo […] non è un pezzo di legno con delle setole, è un’espressione, un prolungamento della forza della mia mano e del mio cuore. E quindi, come faccio a buttarli via?”26.
Nelle sue celle-laboratorio Ruggeri lavorò sollevato dai bisogni e dagli impegni del mondo ma non isolato dal mondo, bensì vivendolo in modo disinteressato: forse, inevitabilmente, riducendo il proprio campo d’esperienza ma preservandone l’autenticità. Egli visse intensamente la contemporaneità artistica frequentando colleghi e critici, visitando mostre, esponendo, leggendo e viaggiando (sin dalle fughe d’arte giovanili). Altrettanto intensamente (e umilmente) si confrontò con la tradizione, che tuttavia considerava non un passato da riverire e imitare quanto “un solco sereno, che però va incessantemente aperto in avanti, senza mai pretendere d’essere compresi. È fedele alla tradizione chi avanza libero, non importa se tollerato”27. Dopo il coacervo di esperienze della giovinezza, dal 1959 Ruggeri trovò nella tranquilla Pavia il luogo fisico, esistenziale e spirituale per lavorare in serenità poiché, “chi faceva questa arte aveva bisogno di quiete e di vivere senza pensieri, e […] chi fa cose di Cristo, con Cristo deve star sempre”28. Dal suo nido francescano esplorava l’orizzonte come un periscopio che vede senza farsi vedere, non perturbato e non perturbando il contesto.
La sua cella laboratorio ricorda il colle sul quale i primi francescani condussero madonna Povertà, per mostrarle “tutt’intorno la terra fin dove giungeva lo sguardo, dicendo: ‘Questo, signora, è il nostro chiostro’”29.
Storie francescane
“Quando cominciò a dipingere, ancora da studente”, ricordava Nazareno Fabbretti, “i frati si misero le mani nei capelli. A vedere quei san Francesco neri e duri […]. Loro, i buoni maestri, erano abituati a un’altra arte sacra e francescana, costellata di stimmate rosee, di bar- bette bionde, di tortorelle, di nuvolette bianche su cieli di cobalto”30. Motivo dello scandalo era il giovane Ruggeri, studente di teologia presso il convento del Sacro Cuore di Busto Arsizio dove, nel 1949, aveva affrescato un ciclo francescano.
Aspirante artista, nel 1948 era stato affiancato a Vittorio Pandolfi, impegnato a dipingere quattro episodi francescani nel presbiterio dell’attigua chiesa. Conclusi i lavori, Pandolfi gli aveva donato pennelli e colori invitandolo a proseguire in autonomia. Di certo il passaggio di testimone fu soltanto di tipo tecnico-operativo, come dimostra il palese scarto concettuale e stilistico tra le opere, così spazialmente e temporalmente vicine, del maestro e dell’allievo: “I nostri punti di vista sull’arte non collimavano affatto”31, ricordava infatti Ruggeri, che pure nutriva per Pandolfi gratitudine e stima.
Anche grazie al prezioso dono, Ruggeri ottenne dai superiori il permesso di affrescare tre scene in una sala relativamente marginale, al primo piano nel settore riservato agli studenti, e soltanto se il profitto scolastico non ne avesse risentito. I tre episodi (Francesco e i primi compagni, Francesco e il miracolo dell’acqua e Francesco e i poveri) mostrano un’intelligenza iconografica e una capacità di sintesi notevoli. Ruggeri ne fu soddisfatto, poiché li trasferì senza significative varianti (ma attenuandone grazia cromatica e formale) nel più vasto ciclo francescano che realizzò poi al pianterreno, nel corridoio principale del convento. Tale intervento fu subordinato all’approvazione di una scena campione. Presentò Francesco e i primi compagni. “Curai di proposito, con meticolosità, i particolari anatomici delle figure – ricordava – certo che il giudizio positivo sarebbe stato determinato, più che dai valori formali, da una certa espressione ‘piacevole’, tradizionale dei volti. Così feci, e centrai il bersaglio”32.
Ottenuto di proseguire, realizzò Francesco e il miracolo dell’acqua. “Le figure e il paesaggio parevano appena abbozzati, come fosse un lavoro lasciato a metà. Ma per me così doveva essere”33, raccontava. Rassicurò quindi i frati perplessi, affermando che “per avere una visione d’insieme senza ripensamenti, avevo bisogno d’abbozzare il tutto, e in un secondo tempo avrei rifinito a dovere l’opera”34. Quindi, “ultimato il cosiddetto abbozzo di tutti gli episodi, un bel mattino distrussi la ‘prova d’esame’, l’affresco campione, e lo rifeci rapidamente nello stile di tutti gli altri”35.
“Sono davvero belli e moderni”36 sentenziò una piccola commissione amica chiamata a visionare i dipinti; Pandolfi rispose alle rimostranze dei frati affermando che: “l’affresco deve restare così genuino com’è. Imbellettarlo con delle aggiunte guasterebbe tutto […]. Se ci sono errori, che restino! L’importante, cari frati, è che qui ci sono fantasia e poesia”37.
Nel selezionare e ideare le scene del suo ciclo, Ruggeri evitò l’esposizione edificante ed edulcorata. Non impaginò la ricostruzione verosimile e dettagliata di fatti antichi ma immagini da meditare per agire nel presente. Eludendo il meraviglioso e lo straordinario (mancano, per esempio, l’impressione delle stimmate, le visioni e i prodigi), di Francesco volle “narrare non tanto i miracoli, che dimostrano la santità ma non costituiscono la santità, bensì piuttosto lo specchio della sua vita esemplare”38. Le celebrazioni del settimo centenario della nascita del santo e la pubblicazione, nello stesso 1882, dell’enciclica Auspicato Concessum avevano avviato una stagione di nuove indagini su Francesco, destinate a depurarne la biografia dagli aspetti leggendari. Sottoposta a tale revisione la sua santità si consolidava invece che affievolirsi. “Gli abbellimenti aggiunti alla vita di lui hanno fatto dimenticare il san Francesco vero e reale, che è tanto più bello”39, scriveva nel 1894 Paul Sabatier, aggiungendo che i santi che emergono “dall’aureo fondo dei trittici, e non dal fondo cupo della realtà […] si acquistano forse un po’ più di rispetto presso la gente superstiziosa, ma la loro vita perde qualcosa della sua virtù e della sua forza comunicativa. Dimenticando che sono stati uomini come noi, non sentiamo più nella nostra coscienza la loro voce che grida: ‘Va’ e fa’ lo stesso’”40.
Cent’anni dopo, Jacques Le Goff avrebbe ribadito: “Quest’uomo umano, molto umano, è tuttavia un santo, un vero santo del XIII secolo, sufficientemente esemplare, eccezionale e totalmente cristiano da poter essere ancora un santo attuale”41.
Anche Ruggeri propose un Francesco dalla santità più esperienziale che taumaturgica. Dichiarò di ispirarsi a I Fioretti (“ma – aggiunse – in riferimento alla vita dell’uomo contemporaneo”42), la biografia meno attendibile ma capace di restituire la freschezza e la novità del messaggio e del sentimento dei primi francescani. Adeguando il registro pittorico a quello del racconto, realizzò una pittura quasi ingenua, una sorta di poesia visiva che “in luogo di esporre fatti […] fa un diretto appello all’immaginazione, comunicando emozioni, sentimenti, atmosfere”43, riuscendo là dove molta pittura a tema francescano coeva, più realistica e descrittiva, falliva.
“Non c’è malizia pittorica, sono innocenti, candidi, sono francescani! Si tratta di visioni sognate, ideali; ho voluto renderli aerei, come sogni portati da raggi di luce”44, dichiarava. La spontaneità de I Fioretti è restituita infatti da una sorta di leggerezza; le semplici figure sono intrise o contornate di bianchi luminosi che le rendono quasi evanescenti; i gesti sono lenti, i luoghi astratti, l’atmosfera silenziosa. Tuttavia, le piccole teste, che sbucano sui corpi ampi e monumentali, mancano di qualsiasi “espressione piacevole tradizionale”45.
Anche Francesco è brutto, come Masseo aveva impietosamente sentenzia- to: “tu non se’ bello uomo nel corpo”46. Eppure, era “incantevole, stupendo e glorioso nella sua innocenza, nella semplicità della sua parola, nella purezza di cuore, nell’amore di Dio, nella carità fraterna, nella prontezza dell’obbedienza, nella cortesia, nel suo aspetto angelico!”47.
Altrettanto i francescani, brutti ma belli per la bontà dei gesti e delle azioni, di una bellezza che è amore. I bisognosi, infine, sono persino deformi: proprio per tale condizione, che visualizza dolore e povertà, reclamano amore poiché, come ricordava Francesco, “il nostro maestro Gesù Cristo […] dice che non è bisogno a’ sani il medico ma agli infermi”48.
I primi tre episodi del ciclo (Francesco e i compagni, Francesco e il miracolo dell’acqua e L’approvazione della Regola) introducono i fondamenti di vita francescana: la fraternità, il Vangelo e l’appartenenza alla Chiesa.
Seguono un miracolo, Francesco che soccorre i poveri, Francesco e il lupo di Gubbio e un episodio di non facile interpretazione che, come il successivo, è parzialmente occultato da una scala. Tale secondo blocco tematico rammenta ai fratelli il necessario impegno nel mondo. Ne L’accertamento delle stimmate, infine, il corpo del santo svela la propria adesione al Crocifisso, nel confronto con il Cristo della grande Crocifissione in testata, al termine del corridoio e del racconto figurato. All’opposto, Morte di Francesco e Francesco e l’operaio compongono un dittico autonomo ed estrapolato dalla narrazione, esortando a raccogliere il testamento di Francesco e a rinnovarlo nel presente.
L’episodio iniziale (Francesco e i compagni, ma significativamente denominato da Ruggeri Francesco e gli amici49) si sviluppa in due scene: nella prima il santo accoglie con un abbraccio un (nuovo) fratello, nella seconda è raffigurata la sua piccola, primitiva, comunità. L’abbraccio di Francesco è prototipo e figura di fraternità. Dei primi compagni Tommaso da Celano narra: “Ogni volta che in qualche luogo o per strada, come poteva accadere, si incontravano era una vera esplosione del loro affetto spirituale […] Ed erano casti abbracci”50. Della versione di prova Ruggeri ricordava: “un grappolo di frati giovani circondava Francesco, tutti irradiavano felicità e fraternità”51; la stesura definitiva li mostra però decisamente preoccupati e mesti, quasi avvertissero la difficoltà della missione che li attende.
Segue Il miracolo dell’acqua, denominato anche La fonte del Vangelo. La scena è ispirata all’iconografia dell’episodio nel quale un povero si disseta alla fonte che, per intercessione di Francesco, miracolosamente sgorga dalla roccia. A braccia spalancate, in un controluce privo d’ombra, è tuttavia il santo a chinarsi verso una fonte, e non d’acqua ma di luce. Il suo gesto, lo stesso con cui nella tradizione iconografica si dispone a ricevere le stimmate, esprime una sorta di resa dichiarando la massima disponibilità.
“E dopo che il Signore mi donò dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del Santo Vangelo”52, ricordava il santo, che “rapito fuori di sé e trasportato in una grande luce, che dilatava lo spazio della sua mente, poté contemplare liberamente il futuro”53. Ruggeri visualizza tale rivelazione come fonte d’acqua/luce: acqua “zampillante per la vita eterna”54 e “luce vera, che illumina ogni uomo”55.
La successiva Approvazione della regola mostra il santo e i compagni inginocchiati davanti al papa. Ruggeri sostituisce al tradizionale cartiglio con l’incipit della Regola un cespo di rose che il pontefice riceve (o porge), figura “della spiritualità francescana donata, accolta e riconsegnata”56. Priva di elementi che ne consentano la collocazione storica57, la scena è immagine dell’Ordine che si pone al servizio della Chiesa.
L’illustrazione che segue è talora interpretata come un miracolo58. La mancanza di stupore (i compagni di Francesco gli volgono addirittura le spalle) sembra suggerire tuttavia una ‘banale’ opera di misericordia, con il santo che soccorre una famiglia povera. L’episodio introduce il blocco tematico dedicato alla carità di Francesco.
Nel successivo, infatti, egli porge un’offerta ad alcuni poveri dai volti (ancor più le donne) mostruosi. Altrettanto brutti e mesti, i francescani sembrano anticipare l’invito di papa Francesco a farsi “infermo con gli infermi, afflitto con gli afflitti”59.
Anche Francesco e il lupo evita la convenzionale esibizione del prodigio che voleva gli abitanti di Gubbio esprimere con gesti plateali riconoscenza e stupore. L’analoga scena del Pandolfi, nell’attigua chiesa del convento, mostra accanto al santo una donna che fila, un contadino e una placida pecora che l’impacciata attualizzazione e la contestualizzazione (in un sereno paesaggio agreste) rendono obsoleti. La scena di Ruggeri, invece, non invecchia. Intorno a Francesco i francescani di allora (dipinti) sono uguali a quelli di oggi, entrambi spettatori di un piccolo miracolo di perdono e accoglienza che tutti possono emulare, nella consapevolezza che la cattiveria è talora indotta dalle circostanze e dalla disperazione: “imperò che io so bene – disse Francesco al lupo – che per la fame tu hai fatto ogni male”60. Nucleo dell’episodio successivo sono alcune figure che si spogliano (o rivestono) sotto gli occhi di un gruppetto di frati e di laici. Il francescano in primo piano, profondamente prostrato a terra, potrebbe raffigurare il fratello guardiano inviato da Francesco ai tre ladroni per chiedere perdono di averli malamente cacciati; il santo propugnava infatti una carità senza pregiudizi. La spogliazione si riferirebbe, in tal caso, alla successiva conversione dei malfattori che, pentiti, si apprestano ad assumere l’abito dei francescani61.
Segue l’Accertamento delle stimmate. Narra Tommaso da Celano che, quando i compagni affranti le scoprirono sul corpo di Francesco, “il lutto si cambiò in cantico e il pianto in giubilo”62. Ruggeri presenta tuttavia la mesta veglia intorno a un amico defunto: più che la constatazione di un fatto straordinario, dunque, “il perenne dramma della perdita delle persone care”63. Analoga concezione presiede la Crocifissione, immagine del dolore di chi rimane: dolore che si imprime nelle figure e nel paesaggio, nella frantumazione delle forme, nel ritmo serrato della composizione e nei colori carichi e sordi. Ai piedi del Cristo crocifisso senza croce è accumulata una catasta di corpi come esplosi. I ladroni e i dolenti sono drammaticamente deformi; Maria ha un’orrida smorfia macchiata dal pianto e la piccola testa di Giovanni non pare umana. Alcuni frati osservano e meditano; spettatori del dramma sacro, soffrono insieme ai fratelli (che sostano davanti all’opera) la comassione.
La stessa condivisione pervade La morte di Francesco, posta con Francesco e l’operaio dall’altro capo del corridoio. Intorno al corpo del santo si compone un vasto repertorio di gesti del dolore che, contenuti nelle solide e sintetiche masse degli abiti, citano Giotto e i compianti trecenteschi. Alcuni poveri avanzano da destra e, in basso, drammaticamente si frantumano. Dell’episodio l’arte coeva offriva interpretazioni dominate da un certo sentimentalismo. Ruggeri ne propone una versione asciutta e rude, in cui figure semplici ed elementari elevano un coro d’amore. La spettacolare veste azzurra, tinta di cielo, colloca Francesco in paradiso senza ricorrere a nuvole, luci o angeli.
Francesco e l’operaio, infine, è una sorta di testamento visivo che anticipa le parole di papa Francesco: “Aprite i vostri cuori e abbracciate i lebbrosi del nostro tempo”64. Al lebbroso, il derelitto medievale per antonomasia, Ruggeri sostituisce l’operaio esposto ai pericoli del lavoro e privo di ammortizzatori sociali; all’ambientazione neutra degli episodi precedenti quella urbano-industriale di una società appena uscita dalla guerra.
Componendo una sorta di trittico, nella scena centrale raffigura un pover’uomo barcollante e nudo sorretto e protetto da un gruppetto di frati che gli fanno corona mentre altri osservano; nella sinistra Francesco (o un francescano) che si carica sulle spalle un operaio infortunato; nella destra Francesco (o un francescano) che porge da mangiare a un gruppetto di poveri preceduti da una donna supplice o grata. Un uomo, armato di fucile, sorride. È forse l’unico sorriso in tutto il ciclo: un sorriso di speranza.
Il suo san Francesco
Il San Francesco65 esposto nel 1951, nella prima personale di Ruggeri presso la Galleria San Fedele di Milano, è una solida e immobile figura priva di volto che pare illustrare le seguenti parole: “Di quel tuo volto non ne abbiamo bisogno. Perché tutti possono avere in qualche modo il tuo volto e tu puoi avere, ora come allora, il volto di tutti”66.
Ruggeri, infatti, riempì quel vuoto sia con i lineamenti essenziali di ciascun uomo (il volto di tutti) che con il ritratto di specifici uomini (perché tutti possono avere in qualche modo il tuo volto): sempre, comunque, rifuggendo le fisionomie stereotipate e gradevoli, l’espressione patetica e le posture artefatte.
Anche quando illustrò Francesco e gli uccelli evitò “di ridurre san Francesco d’Assisi al santo romantico, all’innamorato della natura che parla ai fiori, agli uccelli, al fuoco e alle nuvole, come fanno i bambini e i poeti”67.
In quello realizzato nel 1959 sulla facciata della chiesetta dei francescani presso il passo del Tonale68, recuperò la disposizione di profilo di Giotto. Di contro alla solida e concreta costruzione del modello, tracciò tuttavia una delicata figura quasi evanescente, di una sincerità e semplicità infantili. L’episodio raffigurato (tra i molti che presentano Francesco con gli uccelli) è probabilmente l’arrivo sulla Verna, poiché il santo protende la piccola testa e le mani verso i volatili che gli giungono incontro: “Io credo – disse ai compagni – ch’al nostro Signore Gesù Cristo piace che noi abitiamo in questo monte solitario, poiché tanta allegrezza ne mostrano della nostra venuta le nostre sirocchie e fratelli uccelli”69.
Al medesimo evento sembra riferirsi Uccelli, pubblicato nel 1980 in Francesco e gli amici70. Alle delicate e rarefatte figure della scena in Tonale si sostituisce l’intricato viavai di una moltitudine di uccelli in volo; a contorni semplici ed essenziali un fitto e nervoso incrocio di linee; al silenzio una gioiosa frenesia. Come vivace istantanea, l’opera sembra illustrare l’avventura in campagna di un fraticello qualsiasi che, festosamente assalito da uno stormo, ride e ci guarda.
Perfetta letizia, tempera su masonite realizzata nel 198071, è invece un’in- candescente visione estrapolata dal tempo e dallo spazio. Accennati con larghe e sintetiche pennellate, Francesco e gli uccelli sembrano applicati a un cielo non terrestre che due tondi (uno giallo e uno verde: il sole e la terra?) rendono immobile e astratto. Il cambio di registro espressivo corrisponde al diverso significato dell’immagine: non racconto ma probabile figura dell’Ordine, in cui gli uccelli-colombe raffigurano i francescani72. Anche nella rappresentazione di Francesco, come in ogni declinazione del suo operare artistico, Ruggeri cercò e sperimentò dunque forme, lingue e tecniche diverse. Nella tavola per la chiesa di Santa Maria all’Ospedale San Carlo Borromeo di Milano73, gli assegnò i tradizionali attributi iconografici denotandone la santità. Tali indicatori (richiesti dalla committenza) caratterizzano tutti i suoi santi ospedalieri quale condizione necessaria alla loro distinzione e riconoscibilità. Come in un dossale medievale, lo ieratico Francesco è dotato di aureola, croce, libro, cordone con i nodi e, soprattutto, stimmate. Non disegnate ma ricavate con capocchie di ferro, esse sembrano citare “non i fori dei chiodi, ma i chiodi medesimi formati di carne dal color del ferro”74 descritti da Tommaso da Celano.
Un San Francesco di Ruggeri fu immagine di copertina del Calendario francescano 198275, dopo essere stato pubblicato in Francesco e gli amici (1980) e in Quivi perfetta amicizia. Francesco e i suoi (1981)76. Di contro alle fisionomie sintetiche e indeterminate degli esempi sinora citati, questo volto in primissimo piano ha una dettagliata fisicità, tanto da essere definito “Un vero ritratto di S. Francesco”77. È, infatti, l’immagine di un uomo vero78 che intensamente ci guarda, la testa lievemente inclinata, i capelli spettinati, qualche ruga sulla fronte e la bocca appena imbronciata. Travalicando la distanza storica, le elaborazioni biografiche e la tradizione iconografica ci compare, vivo, dinnanzi. Nulla ne segnala la santità. “Perdonami se non ti ho messo l’aureola, di cui i tuoi amici papa e cardinali furono subito generosi e gelosi – si scusava Ruggeri. In quel modo ti avrei soltanto consegnato al passato, proprio te che hai vissuto nuovi tutti i sentimenti e le cose”79; e aggiungeva: “Nel darti un volto che fosse oggi giusto per te non ho obbedito a schemi e ricordi interiori anche se profondi e preziosi. Mi sono lasciato alle spalle tutto il passato, per guardarti, accompagnarti, interrogarti come un uomo del mio tempo”80.
Gli amici di san Francesco
Già affrontato nel ciclo di Busto Arsizio, agli inizi degli anni Ottanta il tema Francesco e gli amici assunse struttura e caratteri nuovi. Estrapolati dal racconto e denotati individualmente, i compagni di Francesco diventarono protagonisti delle già citate pubblicazioni edite in occasione delle celebrazioni per l’ottavo centenario della nascita del santo: Francesco e gli amici (1980), Quivi è perfetta amicizia. Francesco e i suoi (1981) e il Calendario francescano Francesco e gli amici (1982). Otto tavole di Ruggeri (più due, Uccelli e Povertà in sovra copertina) illustrarono inoltre Francesco e gli amici di Nazareno Fabbretti (1981).
Francesco e gli amici del 1980 include 24 tavole compilate tra il 1950 e il 1980, ciascuna commentata da un breve estratto da Fonti francescane. Quivi è perfetta amicizia impagina 44 opere datate 1951-1980, accompagnate da commenti di Nazareno Fabbretti e citazioni da Fonti francescane; il ricco volume presenta inoltre introduzione e cantico finale di David M. Turoldo. Il Calendario francescano, oltre al ritratto di Francesco in copertina, è illustrato da dodici Amici (uno per mese) con, a didascalia, brevissime citazioni da Fonti francescane e, in chiusura, una raccolta di sintetiche biografie di Nazareno Fabbretti.
Ciascuna pubblicazione include opere realizzate in tempi diversi (alcune ripetute) di cui non è facile ricostruire la cronologia; alle più antiche81, a tempera su cartoncino, si affiancano i più numerosi ritratti ottenuti per integrazione pittorica di riproduzioni fotografiche. Allargatosi progressiva- mente, il repertorio degli amici comprende, oltre alla primitiva comunità di Francesco, altri che gli furono accanto e, in una ricostruzione che giunge al presente, esponenti dell’Ordine e interpreti della sua eredità (sino a don Orione, Gandhi e Maria Teresa di Calcutta). A identità determinate si accostano figure generiche (Mendicante, Lebbroso, Povertà, persino Satana), ai prevalenti primi piani inquadrature più ampie talora con figure multiple e minimali ambientazioni (Pacifico, Silvestro, Uccelli, Ladroni, I poveri, Frati itineranti, Il lavoro).
La composizione paratattica e la disomogeneità stilistica danno forma a una concezione dell’amicizia intimamente francescana, fortemente inclusiva e priva di aspettative e pregiudizi: “E chiunque verrà – prescriveva la Regola non bollata – amico o nemico, ladro o brigante, sia accolto con bontà”82.
Il lebbroso, Innocenzo III, Egidio, Pica, Chiara, Masseo, 1950-1980. Da Ruggeri, Francesco e gli amici, Arti grafiche Barlocchi, Settimo Milanese 1980
Testimoniano, inoltre, “la metodologia dell’amicizia in Francesco. Intendiamo dire il radicale, quasi fanatico, rispetto della personalità di ciascuno dei suoi amici; il rifiutarsi sempre di ridurre colui ch’egli ama, o che da lui in qualche modo dipende, a una copia e neppure a un’imitazione di sé stesso”83.
Nel testo dattiloscritto di un’omelia, Ruggeri rivolge a Francesco parole che sembrano esplicitare il suo metodo iconografico: “Vicini a te ci sono i tuoi amici d’allora, ma con il volto dei tuoi e nostri amici di oggi”84.
Moderni e inconsapevoli contemporanei prestano infatti la propria fisionomia ad antichi personaggi, secondo una prassi che trova, nella Storia dell’arte, illustri precedenti. Giovane novizio, Ruggeri già aveva illustrato I Fioretti “prendendo a modello alcuni miei compagni, soprattutto per i volti”85; e se a Busto Arsizio aveva evitato qualsiasi caratterizzazione per rendere gli antichi francescani specchio di ogni francescano, qui decisamente li contras- segna per fornire loro una concreta umanità. Il procedimento è analogo a quello adottato da Pierpaolo Pasolini nel Vangelo secondo Matteo (1964), i cui protagonisti furono attori non professionisti, le comparse la popolazione locale. Rifuggendo il bello convenzionale e la caricatura del brutto, la povertà ricostruita e la pedissequa rievocazione, Ruggeri come Pasolini compose un’umanità autentica poiché vera.
Alcuni degli amici, come alcuni dei personaggi del Vangelo secondo Matteo, erano volti noti. Anche tale accorgimento trova riscontro nella tradizione artistica86. Oltre allo scopo celebrativo o diffamatorio, la citazione di persona nota contribuiva alla riconoscibilità di figure (reali o astratte) altrimenti fisicamente indeterminate; perché ciò accadesse era necessario, tuttavia, stabilire assonanze tra interprete e interpretazione. Ruggeri, invece, non solo non cercò corrispondenza caratteriale, esistenziale e fisica ma talora la contraddisse.
“L’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, con il suo parlare bello e devoto”87 non trova riscontro nel suo ritratto, dagli occhi strabici ed espressione più bonaria che arguta.
Jacopa, la virtuosa nobile che Francesco volle accanto sul letto di morte, è una donna palesemente giovane e bella88 seppur le fonti vogliano la sua femminilità mortificata e austera.
Alcune soluzioni sono sorprendenti. La forza mediatica dell’icona pop(olare), che Andy Warhol aveva magistralmente segnalato, veicola l’identità di forse più degne (e misconosciute) notorietà. Elia è interpretato da Charles Aznavour, Lucchesio da Eduardo De Filippo ed Egidio dall’allenatore della Nazionale di calcio italiana Enzo Bearzot. Giuseppe Ungaretti presta uno sguardo bieco all’inquietante Innocenzo III, forse “attonito e spaventato” dopo aver sognato la chiesa di San Giovanni in Laterano sostenuta da “un religioso piccolo e di aspetto meschino”89. Pacifico “il più rinomato dei cantori frivoli ed egli stesso autore di canzoni mondane”90 assume le fattezze di Luigi Tenco. Ruggeri ri-lavorò un fotogramma dall’intensa esecuzione del cantante al Festival di Sanremo del 1967. Se, nello specifico, stabilì assonanza professionale tra figura contemporanea e antica, è comunque significativo che abbia fatto interpretare Pacifico a un uomo che si era suicidato.
L’inquadratura dal basso e il portamento altero conferiscono a Lebbroso inaspettata fierezza91. L’inquietante figura è forse il malato “sì impaziente e sì incomportabile e protervo”92 che Francesco lavò amorevolmente, sanandolo sia nel corpo che nell’anima; contraddice comunque il tipo convenzionale del bisognoso, solitamente supplice ed emaciato.
Di Silvestro Ruggeri raffigurò il pentimento, prediligendolo alla “vita perfetta”93 che scelse, già anziano, di condurre accanto a Francesco. La drammatica figura, contornata da una pesante ombra nera, ha le mani serrate e lo sguardo al cielo mentre, spiazzata dalla generosità santo, esclama: “Sono proprio un miserabile! Eccomi vecchio, e ancora a concupire e cercare insaziabilmente le cose di questo mondo; mentre questo giovane le disprezza e calpesta per amore di Dio”94.
I tre ladroni non sono raffigurati come spavaldi e pericolosi briganti ma quando “venivano a elemosinare umilmente, sospinti da grave necessità”95.
Simone, che si disponeva all’estasi giacendo a letto “imperò che la tranquilla soavità dello Ispirito Santo richiedeva in lui non solo riposo dell’anima, ma eziandio del corpo”96, è travolto da incontenibile energia: postura e smorfia gli sono prestate da uno scatenato Dario Fo.
Talora, infatti, Ruggeri attivava una doppia traslazione di identità, facendo interpretare gli amici da attori che recitano un personaggio. La dissonanza tra il ruolo impersonato nella realtà della finzione scenica e nella sua trascrizione iconografica produce una sorta di corto circuito interpretativo, che di nuovo induce ad interrogarsi.
Santa Chiara è Sophia Loren nei panni della Monaca di Monza. Ruggeri rielaborò la fotografia di copertina del settimanale “Oggi” che, nel settembre 1961, aveva pubblicato in esclusiva il reportage dei provini realizzati dall’attrice con Luchino Visconti, in preparazione alle riprese de La signora di Monza. Nel volto incorniciato dal velo delle Umiliate benedettine Chiara è di una bellezza contemporanea, nella società dei media incarnata da un’attrice sensuale e famosa; colpisce (e non può essere casuale) l’esibito scarto morale tra la grande santa e la monaca manzoniana.
Analogo dislivello separa Orlando, che donò a Francesco il monte della Verna97, e Carlo Coriolano di Santafusca, il protagonista de Il cappello del prete. Ruggeri attribuì al conte amico di Francesco l’intenso volto di Luigi Vannucchi, interprete del dissoluto barone nello sceneggiato televisivo tratto dal romanzo di Emilio De Marchi e mandato in onda, per la regia Sandro Bolchi, nel 1970.
Citazione cinematografica è Pica, ricavata da un fotogramma di Il settimo sigillo di Ingmar Bergman (1957). La madre di Francesco, con notevole e significativa discrepanza tipologica, è la giovane strega impersonata da Maud Hansson.
Ginepro è invece citazione pittorica dalla Salita al Calvario di Hieronymus Bosch98. Al compagno di Francesco, che la leggenda vuole di una semplicità e bontà disarmanti, Ruggeri attribuisce lo spaventato profilo del Buon ladrone.
Ma la figura più straordinaria, totalmente antiretorica e alternativa rispetto alla tradizione iconografica che la vuole mesta ed emaciata, è Povertà: colta in un umanissimo salto, le braccia alzate e la bocca spalancata in un’incontenibile risata, è per il francescano fra Costantino, come per Francesco, un’esplosione di gioia.
Ai molti amici inclusi nelle pubblicazioni citate altri continuarono ad aggiungersi. L’archivio della Fondazione Frate Sole ne conserva (in copia) un vasto repertorio che documenta la centralità del tema nell’esperienza artistica di Ruggeri e la sua instancabile sperimentazione, che lo portò a elaborare le immagini anche in digitale. A figure dettagliate si alternano figure quasi astratte; a linee che evidenziano un sottostante volto altre che decisamente lo negano, talora sottili altre ampie, talora morbide altre spigolose; le campiture di vivacissimi colori sono spesso indipendenti dalle forme e affatto verosimili. Le varianti tecnico-stilistiche citano correnti e autori: scorrendo gli amici di Ruggeri si incontra l’arte del Novecento.
1 Si veda qui a p. 243.
2 G.Vasari, Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti [Firenze 1550], II vol., a cura di L. e C. Ragghianti, Rizzoli, Milano 1971, p. 147.
3 Fra Costantino frate a 11 anni, http://www.padrecostantino.it/portfolio/frate-a-11-anni/.
4 C. Ruggeri, in N. Fabbretti (a cura di), Sol- tanto un fiore. Genesi di un artista cristiano, Marietti, Città di Castello (PG) 1990, pp. 13-14.
5 Fra Costantino. Cielo verde, http://www.padrecostantino.it/portfolio/cielo-verde/.
6 Francesco d’Assisi, Regola non bollata (1221), cap.VII, in E. Caroli (a cura di), Fonti Francescane, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1996 (in seguito, FF.), p. 105.
7 Ibidem.
8 Ivi, p. 71.
9 R. Guardini, L’opera d’arte, Morcelliana, Brescia 2008, p. 31.
10 Ivi, p. 35.
11 https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1964/documents/hf_p-vi_hom_19640507_messa-artisti.html
12 I Fioretti di San Francesco, cap.VIII, in FF., p. 1473.
13 Ibidem.
14 Francesco d’Assisi, Regola non bollata, cap. VII, in FF., p. 106.
15 G. Ravasi, Intervento alla mostra in San Fedele, 8 maggio 2001, ciclostilato in Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
16 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., pp. 116-117.
17 Ivi, p. 82.
18 Ivi, p. 83.
19 Ivi, p. 69.
20 R. Manselli, Tre conferenze inedite su san Francesco d’Assisi. Milano 1981-1983, Biblioteca Francescana, Milano 2018, p. 37.
21 G. Ravasi, Cinquantesimo di padre Costantino, Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
22 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 84.
23 Ivi, p. 26.
24 Ivi, p. 25.
25 Ibidem.
26 Fra Costantino. Arte e pennelli, https://www.padrecostantino.it/portfolio/arte-e-pennelli/
27 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 123.
28 Attribuite a Beato Angelico e riportate da Vasari, Le Vite cit., p. 158.
29 Sacrum Commercium sancti Francisci cum Domina Paupertate, in FF., p. 1663.
30 N. Fabbretti, Il ‘frate informale’ scandalizzava i buoni francescani del suo convento, in “Il Quotidiano”, 25 settembre 1964-1963, Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
31 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 37.
32 Ivi, p. 39.33 Ivi, p. 40.
34 Ibidem.
35 Ibidem.
36 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 41.
37 Ibidem. La commissione comprendeva, oltre a Pandolfi, il dottor P. Garavaglia e l’architetto E. Castiglioni.
38 Tommaso da Celano, Vita Prima, parte I, cap. XXVI, in FF., p. 466.
39 P. Sabadier, Vita di S. Francesco d’Assisi [Parigi, 1894], Porziuncola, Assisi 2017, p. 43.
40 Ibidem.
41 J. Le Goff, prefazione a C. Frugoni, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Einaudi, Torino 2001, p.VI. Anche gli studi di Frugoni perseguono la ricostruzione di un Francesco storicamente vero.
42 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 38.
43 B. Berenson, Sassetta. Un pittore senese della leggenda francescana, Abscondita, Milano 2015, p.35. Berenson si riferisce alle scene che il Sassetta realizzò per lo smembrato polittico di Borgo San Sepolcro (1437-1444), ritenendole capaci di esprimere l’ideale francescano più dell’arte illustrativa e didascalica, per esempio di Giotto.
44 Citazione tratta da S. Aldeni, San Francesco e padre Costantino Ruggeri: un incontro di vita e di arte, in A. Spada (a cura di), Tue so’ le laude. I Frati Minori a Busto Arsizio 1898-1998, Arti Grafiche Baratelli, Busto Arsizio (Varese) 1999, p. 225.
45 Tale imbruttimento ‘espressionista’ ricorda, per analogia di procedimento pur nella diversità di linguaggio, alcune figure di Girolamo Romanino, di cui Ruggeri affermava: “certamente uno dei pittori che ha avuto più influenza su di me”. In Fabbretti, Soltanto un fiore cit., p. 13.
46 I Fioretti di San Francesco, cap. X, in FF., p. 1476.
47 Tommaso da Celano, Vita Prima, parte I, cap. XXIX, in FF., p. 476.
48 I Fioretti di San Francesco, cap. XXVI, in FF., p. 1511.
49 Ibidem.
50 Tommaso da Celano, Vita Prima, parte I, cap. XV, in FF., p. 443.
51 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 39.
52 Francesco d’Assisi, Testamento [1226], in FF., p. 132.
53 Tommaso da Celano, Vita Prima, parte I, cap. XI, in FF., p. 432.
54 Giovanni 4,14.
55 Giovanni 1,9.
56 Aldeni, San Francesco e padre Costantino Ruggeri cit., p. 231.
57 Senza cartiglio la scena raffigurerebbe l’approvazione orale della Regola da parte di Innocenzo III, con il cartiglio la sua conferma da parte di Onorio III.
58 S. Aldeni, in San Francesco e padre Costantino Ruggeri cit., p. 233, vi riconosce la guarigione di Bonaventura da Bagnoregio bambino.
59 Discorso del Santo Padre Francesco ai membri delle famiglie francescane del primo ordine e del terzo ordine regolare, Sala Clementina, Città del Vaticano, 23 novembre 2017. In https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/november/documents/papa-francesco_20171123_famiglie-francescane.html.
60 I Fioretti di san Francesco, cap. XXI, in FF., p.1501.
61 Ivi, cap. XXVI .
62 Tommaso da Celano, Vita Prima, parte seconda, cap. IX, in FF., p. 503.
63 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 39.
64 Si veda nota 59.
65 L’opera è pubblicata in P. E. Trettel, Fogli sparsi, Trento 1950: Archivio Fondazione Fra- te Sole.
66 C. Ruggeri, Francesco un volto per l’uomo, Archivio storico Provincia di S. Antonio dei Frati Minori, Milano, dattiloscritto con correzioni a mano.
67 C. Ruggeri, Omelie domenicali, ciclo A dell’anno liturgico, 4 ottobre, si veda qui antologia.
68 La chiesetta, costruita sul versante bresciano del passo del Tonale, fu realizzata da Giovanni Muzio nel 1956. Nel 1959 Ruggeri tracciò, in facciata, figure di santi delimitati da contorni graffiti sull’intonaco bianco e delicatamente colorati. Per l’esposizione in esterno e per mancata manutenzione, essi si sono progressivamente deteriorati e risultano, in alcune porzioni, cancellati.
69 I Fioretti di san Francesco, Della prima considerazione delle sacre sante Istimate, in FF.., p. 1584.
70 C. Ruggeri, Uccelli, in Idem, Francesco e gli amici cit. 1980; quindi in Idem, Quivi è perfetta amicizia. Francesco e i suoi, Biblioteca France- scana, Milano 1981; come immagine di copertina: N. Fabbretti, Francesco e gli amici, Rusconi, Milano 1981.
71 L’opera è di proprietà SERMIG, Torino.
72 Sul tema: C. Frugoni, Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica di Assisi, Einaudi, Torino 2015, pp. 332-341.
73 Lo stesso Gio Ponti, che realizzò la chiesa tra il 1963 e il 1969, affidò a Ruggeri l’incarico di predisporre ventidue icone di santi ospedalieri da inserire nelle nicchie interne dell’ampia parete di fronte all’ingresso. Le grandi e sintetiche figure sono incise e dipinte su tavola, con inserti in vetro e in ferro battuto. Prima di essere collocate nella cappella (benedetta il 3 novembre 1965) furono espote a Pavia, entro il convento di Canepanova, sotto le torri di piazza Leonardo e in un pioppeto lungo il Ticino.
74 Tommaso da Celano, Vita Prima, parte seconda, cap. IX, in FF., p. 503.
75 Anche il Calendario, edito da Biblioteca Francescana di Milano per l’ottavo centenario della nascita del santo, fu intitolato Francesco e gli amici.
76 Lo stesso ritratto del santo illustra la copertina di F. Olgiati, La vera pace dello spirito, Biblioteca Francescana, Milano 2015.
77 N. Fabbretti, Un vero ritratto di S. Francesco. Una vita spesa bene, in “Bollettino parrocchiale di Adro”, ottobre 1981, Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
78 Alcuni sostengono che il volto sia ispirato a quello dell’amico architetto Luigi Leoni, cui effettivamente somiglia molto.
79 Ruggeri, Francesco e gli amici cit., introduzione.
80 Ruggeri, Francesco un volto per l’uomo cit.
81 Frate minore risale al 1951: Silvestro, Ginepro e Pacifico al 1953.
82 Francesco d’Assisi, Regola non bollata, cap. VII, in FF., p. 106.
83 L. Santucci, in Fabbretti, Francesco e gli amici cit., introduzione nel risvolto di copertina.
84 Ruggeri, Francesco un volto per l’uomo cit.
85 Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 18.
86 Famosi sono, per esempio, Euclide interpretato da Bramante nella Scuola di Atene di Raffaello e Minosse da Biagio da Verona nel Giudizio Universale di Michelangelo.
87 Specchio di perfezione, parte quinta, in FF., p. 1397.
88 Il ritratto fotografico di base ricorda l’attrice Jeanne Moreau.
89 Leggenda dei tre compagni, cap. XII, in F.F., 1104.
90 Tommaso da Celano, Vita seconda, cap. LXXII, in FF., p. 638.
91 La figura pare ricavata da un ritratto fotografico di Carlo delle Piane.
92 I Fioretti di san Francesco, cap. XLI, in FF., p. 1508.
93 Tommaso da Celano, Vita seconda, cap. LXXV, in FF., p. 642.
94 Leggenda dei tre compagni, cap. IX, in FF., p. 1090.
95 Leggenda perugina, in FF., p. 1255.
96 I Fioretti di san Francesco, cap. XLI, in FF., p. 1543.
97 Ivi, Della prima considerazione delle sacre Istimate, p. 1579.
98 L’opera, databile 1490-1510, è conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna.