Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra
“Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra”1
Giorgio Azzoni
Oltre. Metafore del sacro
Le vetrate di frate Costantino Ruggeri esprimono forza e profondità di un’arte conforme allo spirito di rinascita culturale, civile e religiosa della Chiesa pre e postconciliare, oltre che intimamente francescana nella gioiosa essenzialità di figure che lodano il Creato e il Creatore. Esse attivano “un processo redentivo che ricongiunge il mondo odierno a quello dell’innocenza primitiva e anticipa il mondo della bellezza eterna”2. Opere contemporanee, sempre sono concepite in dialogo con la mobile luce solare e con gli spazi, che contribuiscono a rendere luoghi del sacro, e con gli ambienti della liturgia, cui partecipano. Non è pertanto possibile una loro lettura estrapolata dalla collocazione e dalle relazioni che istituiscono con il contesto entro cui sono inserite3.
Una prima fase di ricerca sulle capacità espressive del vetro vide Ruggeri realizzare non tanto estese superfici trasparenti e colorate, destinate a diventare la sua produzione più apprezzata e diffusa, ma pannelli di cemento con cristalli incastonati. Tale modalità operativa fu inaugurata nella grande croce collocata nella Madonna dei Poveri, chiesa realizzata nel 1954 dagli architetti Figini e Pollini in un quartiere periferico di Milano. La frequentazione e l’amicizia con Luigi Figini fu esperienza fondamentale nella formazione artistica del giovane frate, nel 1951 ordinato sacerdote proprio nel capoluogo lombardo: un dialogo denso di conseguenze, anche perché Figini, ricordava Ruggeri, “presto mi volle anche suo consulente liturgico”4.
Appesa nel presbiterio della chiesa, la grande croce in calcestruzzo e vetri colorati di Murano rinvia nell’installazione alle croci lignee romaniche e gotiche, nella struttura alle croci gemmate del primo Medioevo. Affatto imitativa, è però opera coraggiosamente moderna. I bracci in calcestruzzo (come la chiesa) sono trafitti e contornati da cristalli grezzi: alcuni incastonati, altri aggettanti lungo il perimetro. Quelli incastonati appaiono in prevalenza materia opaca, come corpo di Cristo che tragicamente muore. Attraversati e vivificati dalla luce, quelli aggettanti formano invece un’aureola risplendente, figura di Risurrezione5.
La croce di Santa Maria dei Poveri fu, nel percorso artistico di Ruggeri, opera decisiva. Composizione non figurativa, pervasa di francescana semplicità e ancorata a forme del cristianesimo primitivo, per l’uso dei materiali e per il rapporto istituito con lo spazio della chiesa fu antecedente concettuale di successivi arredi liturgici e di pareti, cui i cristalli colorati conferiscono quell’entitas positiva che san Francesco riconosce in tutto il Creato.
Fra Costantino Ruggeri, disegno, da Idem, Stenografie dell’anima, Piemme, Casale Monferrato 1991, p. 60
Tabernacolo nella cappella della Casa di riposo O. P. Delbarba, Adro (Brescia).
© Foto Giorgio Azzoni
Pietre “viventi” (1Pt 2,4-5), i blocchi grezzi e luminosi incastonati in ruvidi muri compongono non Arte povera ma arte ispirata alla paupertas francescana, una lingua di “‘segni’ poveri per fedeli di ‘periferia’, ma segni veri, alieni da ogni trionfalismo religioso e liturgico, e per questo intensi e immediati”6.
Dai primissimi anni Sessanta Ruggeri indagò dunque le potenzialità visive ed espressive di cristalli colorati inclusi nel calcestruzzo diversamente consegnati alla luce, con l’intento di renderli protagonisti attivi dello spazio liturgico. Per sperimentarne l’efficacia, realizzò prove e modelli lavorando da artigiano. Nazareno Fabbretti così lo descrive:
Per terra, telai di ferro, grezzi, losanghe, a rombi, a triangoli irregolari. Il frate, calcinoso e con le vesciche alle mani, monta di sua mano i cristalli colorati sul nero cemento fresco, e tutto prende figura lirica dentro la figura geometrica dei telai. Stanno nascendo vetrate inconsuete che desteranno scalpore. Altre sono già nate, e brillano sulle pareti della cappella del Seminario di Mantova e del Seminario francescano di Varese, e nella chiesa di Pioltello, presso Milano7.
L’esito forse più sorprendente di tali sperimentazioni fu la parete absidale di Sant’Adele a Buccinasco, sorta nella periferia milanese tra il 1964 e il 1968 e definita dagli stessi progettisti chiesa-officina. Ruggeri vi realizzò e posizionò anche altare e tabernacolo, che infatti istituiscono con il fondale un’unità di forma e contenuto. Colorato di nero, il muro è punteggiato da fori che interamente lo trapassano catturando la luce retrostante. Incastonati in tali spiragli, blocchi vitrei colorati e informi divengono visivamente incandescenti e, poiché la trasparenza palesa le minuscole bolle d’aria intrappolate nella materia, sembrano organismi viventi. Incorniciati da ampie strombature che talora li organizzano in insiemi, formano costellazioni colorate e, al centro, una doppia aureola luminosa: quella interna, circolare, contorna il tabernacolo (a muro, originariamente trasparente); quella esterna, ellittica, incornicia l’altare. Le stelle di vetro si ordinano dunque a ornare l’Eucarestia custodita e celebrata, individuando in Cristo l’identità asso- luta di movimento (dynamis) e centro (stasis). Sublimando materia e colore, la luce conferisce loro inaspettata bellezza e, insieme, valenza ‘metafisica’ o metaforica sacralità. La loro luminescenza pare extra terrena. La nera parete stellata suggerisce il senso di infinito che si avverte scrutando il cielo notturno.
Questa e altre opere dei primi anni sessanta8 maturarono in dialogo con l’arte di Lucio Fontana (con cui Ruggeri aveva instaurato un rapporto artistico e personale) quali rielaborazioni in ambito liturgico dei Concetti spaziali. Nel confronto con le più innovative espressioni dell’arte contemporanea milanese (i cicli di Buchi e di Pietre di Fontana, le Spirali di Roberto Crippa) l’artista francescano avviò una sintesi di carattere estetico e tematico volta a rispondere e corrispondere alle esigenze di rinnovamento anche artistico che percorrevano la Chiesa negli anni di preparazione e di attuazione del Concilio Vaticano II.
In tale direzione, egli riformulò in chiave cristiana le ricerche artistiche che miravano a superare la tradizionale figurazione bidimensionale (anche con l’utilizzo di terre, pietre e vetri) dando forma a un immaginario di spazi finiti e infiniti. L’oltre, che per Fontana era cosmico (infinito o vuoto), diviene per Ruggeri l’inesprimibile, l’universo colmo di Dio. Anche il procedimento di Fontana (“Io buco, passa l’infinito da lì, passa la luce, non c’è bisogno di dipingere”9) fu risignificato: infinito e luce divengono infatti manifestazioni di Dio.
Cercherò il mio Dio al di là delle stelle10
Alla fine degli anni Sessanta, abbandonati i buchi luminosi, Ruggeri realizzò le sue prime superfici in vetro antico soffiato legate a piombo.
In Sant’Antonio a Chiavari (1969) le immagina scorrere continue oltre le preesistenti bifore ogivali, come se ciascuna inquadrasse il medesimo paesaggio-cielo. Accanto a figure astratte (forme e reticoli di ortogonali) compaiono sintetiche citazioni di elementi riconoscibili, primo nucleo di un vocabolario di simboli destinato progressivamente ad ampliarsi: “poema risolto in figurazioni rigorose, essenziali, e tuttavia ricche di straordinaria fantasia: luna, stelle, fiori, animali, luci, pochissime ombre: tutta la vita dell’universo adunata, in letizia, attorno all’altare, vita piena e totale che irrompe nel tempio a partecipare al mistero eucaristico”11.
Nelle bifore dell’abside le forme si diradano e domina un bianco luminoso. Sant’Antonio segnò una svolta decisiva, poiché Ruggeri iniziò a concepire le vetrate come laude figurata, espressione di una gioiosa interpretazione del Creato. Sembra, in questa fase, ispirarsi a ricerche dell’astrattismo europeo e a Paul Klee non solo per alcune soluzioni formali (che subito abbandonerà) ma per la volontà di ricreare mondi invisibili che stanno dentro e oltre il visibile. Scrive Klee nei suoi Diari: “Tutto quello che avviene non è che simbolo. Quello che noi vediamo è proposizione, possibilità, espediente. La verità autentica, alla base, in principio è invisibile”. Compito dell’artista è, appunto, rendere visibile l’invisibile.
Paolo VI, rivolgendosi nel 1964 agli artisti, declinava tale missione in senso cristiano, affermando:
Il Nostro ministero ha bisogno della vostra collaborazione. Perché, come sapete, il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione, che travasa il mondo invisibile in formule accessibili, intelligibili, voi siete maestri. È il vostro mestiere, la vostra missione; e la vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parola, di colori, di forme, di accessibilità12.
Prerogativa dell’arte, aggiungeva il pontefice, è di rendere “accessibile e comprensibile il mondo dello spirito – ma nel contempo – di conservare a tale mondo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa necessità di raggiungerlo nella facilità e nello sforzo allo stesso tempo”13.
Ruggeri rispose all’appello del papa con accresciuto senso di responsabilità in quanto francescano e sacerdote, perseguendo un’arte contemporanea capace “di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori”14 per renderli accessibili e comprensibili, ma conservandone, appunto, l’ineffabilità. Non adottò forme astratte ma figure dedotte dal mondo sensibile che tuttavia, composte in paesaggi mai descrittivi o narrativi, rimandano a un altro e a un oltre. Dichiarava infatti: “Ma guai a fermarsi alla ‘rappresentazione’. Bisogna entrare nella visione, cioè nei ritmi e nelle forze vitali, nel loro stesso essere”15.
Rimeditò i segni che negli anni precedenti l’avevano attratto: le incisioni rupe- stri preistoriche della Valle Camonica (rielaborate negli studi pittorici degli anni Cinquanta) e i simboli epigrafici delle catacombe romane (studiati per la tesi di laurea a Brera). Memore della semplice gioia coloristica dei paesaggi e dei giardini degli acquerelli di Klee, affascinato dalla dinamica libertà delle bianche colombe nelle opere grafiche di Braque e di Matisse e dall’ingenua fantasia delle figurazioni sospese di Chagall, costruì in pochi anni un linguaggio di forme e composizioni dai tratti originali. Fu certamente illuminante il clima coloristico, intimo e riservato, delle vetrate di Matisse nella cappella del Rosario di Vence, di cui volle però oltrepassare il (pur delicatissimo) decorativismo per essere più incisivo, come la sua energia vitale e artistica richiedeva. Avvertì inoltre la necessità di correlare i propri interventi alla conformazione ambientale, giungendo a concepire gli Spazi mistici e a progettare, con l’architetto Luigi Leoni, le chiese.
Il suo vocabolario di forme trovò esemplari paesaggi nelle vetrate realizzate dalla seconda metà degli anni Sessanta: composizioni di lastre colorate fissate a piombo, talora intere pareti, in grado di esaltare pienamente la forza espressiva della luce.
Così, per esempio, nella chiesa dei Santi Angeli Custodi a Milano, di cui realizzò anche il battistero (con blocchi di cristallo incastonati alle pareti). Diversamente da Matisse nella cappella di Vence, non si adeguò alle sequenze di aperture verticali ripetendo un motivo decorativo concluso, ma realizzò composizioni continue e trasversali, come visioni che le finestre inquadrano. Le progettò con attente verifiche16 e, per raggiungere sintesi formale e compositiva, adottò nei bozzetti di studio una tecnica analoga a quella dei papiers gouaches découpés del maestro francese.
Il complesso e non sempre facile programma iconografico sviluppa il tema del contrasto tra male e bene, tra morte e vita, tra buio e luce: dalle tenebre sorge il sole, dalla terra brulla un piccolo fiore; di fronte alla bestia dell’Apocalisse vola una candida colomba. La croce e la corona di spine (entrambe rosso sangue) donano la Redenzione, visualizzata da una fresca linea azzurra che attraversa e unifica le scene. Agli angoli dei due tiburi forme e colori evanescenti alludono alla Gerusalemme celeste17.
Fra Costantino nello studio con un campione di vetro soffiato
@ Foto Archivio Fondazione Frate Sole Pavia
Molteplici e fitte nelle vetrate più antiche, nel corso degli anni le figure si dilatano sino a diventare rade presenze, di forte intensità cromatica, su profondità blu e azzurre attraversate dalla variegata e sottile trama della struttura in piombo. Nelle amplissime pareti in cristallo del grande santuario romano del Divino Amore (1998), dove ogni barriera tra interno ed esterno, tra architettura e spazio, tra orizzonte reale e orizzonte celeste è revocata, prevalgono un sole rosso con chrismon stilizzato e un grandioso sole arancio, una Croce Rossa su un’eterea nuvola bianca e le parole (rarissime in Ruggeri) “Ave Maria”.
Paesaggi di simboli
Il Cantico delle creature di san Francesco fu per Ruggeri tema continuo e costante, oltre che fondamento etico e riferimento estetico.
Nelle vetrate dei primi anni Sessanta inserì prevalenti riferimenti ai versi iniziali: a “lo frate Sole” e a “sora Luna e le Stelle”; nelle vetrate di Chiavari aggiunse “Aree e Nubilo e Sereno”, “nostra Madre Terra, la quale ne sostenta e governa, e produce diversi fructi con coloriti fiori ed erba” e “sor Aqua, la quale è molto utile e umile e preziosa e casta”18. Come nel Cantico è assente l’uomo, spettatore che nelle creature loda il Creatore.
“Nella mia concezione tutto è ‘sacro’, tutto è ‘mistico’ nella misura in cui non esclude il ‘naturale’, il preesistente”19, affermava Ruggeri. Per “aiutare insomma l’uomo a intuire o trovare Dio” 20, ovunque e in letizia, egli evoca cieli, terra e acque abitati da sole, luna, stelle, nuvole, uccelli e fiori, le cui forme accese dalla luce suscitano stupore e gioia. Accostamenti inattesi, discrepanze di proporzione, anomalie o intensificazioni cromatiche e contraddizioni spaziali suggeriscono che il senso di tali presenze non possa esaurirsi nella composizione di un paesaggio, ancor più per l’irruzione di croci e lingue rosse, oppure asterischi e tau. Sono, invece, paesaggi di simboli e il simbolo “dà a pensare”21; anzi, con Cassirer22, è l’organo essenziale del pensiero e continuamente interroga. Inoltre “In definitiva, il simbolo è indispensabile all’uomo per compiere la propria esperienza del sacro”23.
I simboli delle vetrate di Ruggeri si ispirano al grande codice della Bibbia24; sono metafore della condizione umana che parlano un linguaggio universale, antico e contemporaneo, non circoscrivibile alla sola dimensione estetica. Diversamente dai molti segni che, nell’arte del Novecento, sono nati da sensibilità individuali e biografiche, attingono a un patrimonio comune per restituire un senso del mondo cristiano e francescano.
Proprio tale orizzonte spiega l’accostamento di elementi altrimenti paratattici (per esempio la corona di spine o la croce anteposte al sole) e i ricorrenti contrasti tra aree scure e altre luminose, tra esseri tenebrosi e la bianca colomba. Le composizioni non nascondono conflitti e lacerazioni ma li risolvono in una prospettiva escatologica che nasce dalla speranza nella Redenzione quale ultima unione, anche degli opposti. Ruggeri, infatti trova “il filo d’oro che lega insieme i simboli biblici considerando anche il fatto che essi hanno il loro vertice proprio in Cristo, il massimo ‘simbolo’ possibile: egli, infatti, unisce in sé i due poli estremi e tutti i significati possibili, quelli dell’umanità e della divinità”25.
Simbolo potente e ragione stessa della vetrata è la luce. Il cristiano è “figlio della luce” (1 Ts. 5,5; Gesù affermò “Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” [Gv 8,12]. Magistralmente intercettata come nelle cattedrali gotiche, la luce che Suger definiva mirabilis et continua è non solo indispensabile operatore ma anche strumento espressivo, poiché “L’uomo contemporaneo ama la luce, è in cerca della luce. E la luce non ha confini; è inesauribile come quella dell’anima”26. A prescindere dalle figurazioni che attraversa e accende, essa conferisce agli interni (prevalente- mente semplici) una dimensione sacrale, poiché “trasforma tutti gli ambienti in ‘spazi mistici’, dà forma, immensità e dolcezza insieme”27. Per descriverne l’irradiazione che trasfigura gli spazi, Ruggeri aggiungeva:
Hai mai osservato il cielo all’aurora? Si fa immenso, davvero infinito. […] E in quel momento di luce e di mistero la vetrata lo “rapisce” all’esterno del tempio, ve lo introduce naturalmente, come una dimensione totale, divina oltre che umana. Non ti dico che cosa succede quando il disco del sole appare radioso e beato all’orizzonte. Dai finestroni si spalanca il cielo e irrompe un fiume di luce che ruscella sul pavimento, mentre le ombre fuggono negli angoli e non le vedi più, i pilastri e le colonne si accendono, si alleggeriscono, diventano trasparenti, e hai l’impressione che la chiesa stessa vada in alto, sollevata da un’altra marea di colori. Di notte è la luna a condurre la danza28.
Attraversando le vetrate, la luce copre di un mantello colorato superfici, arredi, suppellettili e persone, proiettando macchie mobili e informali che per nitidezza, forma, dimensione e collocazione mutano con il variare delle ore, delle stagioni e del tempo meteorologico. Chi entra o sosta nella chiesa ne è profondamente coinvolto sia emotivamente che fisicamente, quando direttamente colpito dalla proiezione luminosa. Lo spettacolo di colori accesi (nel vetro) e riflessi (dal vetro) produce prima di tutto una gioia dei sensi che diviene preghiera. La luce è, inoltre, valorizzata da calcolati contrasti di qualità (tra colori puri e terziari, caldi e freddi, chiari e scuri, trasparenti e opachi) che la oppongono alle tenebre, quale figura della vittoria del bene sul male, della vita sulla morte.
Fra Costantino nello studio mentre sceglie tra i campioni di vetro colorato.
@ Foto Archivio Fondazione Frate Sole Pavia
Il luogo più ricco di luminosità è, per Ruggeri, il battistero, poiché il battesimo è il sacramento della luce e i battezzati ne sono ‘illuminati’29. Egli ne orienta l’ambiente e le vetrate in modo da raccogliere la prima luce del giorno; spesso la conduce sull’acqua della vasca. I battisteri stessi diventano talora ‘faro’ che schiarisce le chiese, quando preesistenti e ombrose.
Soggetto immancabile delle vetrate è il sole: grande disco giallo o arancione che spesso si oppone a superfici oscure. In alcune è anche bianco: l’ostia eucaristica.
Indispensabile sorgente di vita, espressione del movimento universale e della ciclicità del tempo, in tutte le religioni è simbolo divino30; anche per san Francesco, che lo dice “bello e radiante cun grande splendore” e aggiunge “de te, Altissimo, porta significazione”31.
Nel canto XI del Paradiso (v. 50) Dante paragona Francesco stesso a un sole che, come Cristo, nasce a Oriente. Tommaso da Celano annotava: “La presenza o anche la sola fama di san Francesco sembrava davvero una nuova luce mandata in quel tempo dal cielo a dissipare le caliginose tenebre che avevano invaso la terra, così che quasi più nessuno sapeva scorgere la via della salvezza”32.
Sempre nella Vita Prima, così Tommaso da Celano descriveva il santo: “Quando mirava il sole, la luna, le stelle del firmamento, il suo animo si inondava di gaudio”33. Il rimando è a Isaia (9,2) il quale, celebrando Dio come luce che illumina “coloro che abitavano in terra tenebrosa”, dice: “Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia”. Lo stesso gaudio producono i cieli vetrati di Ruggeri, dove spesso al sole si accostano “sora Luna e le Stelle”, che il Cantico dice “clarite e preziose e belle”34.
Tra gli astri, particolare valenza simbolica ha sempre assunto la stella del mattino che luminosissima compare prima dell’alba e annuncia il nuovo giorno. Gesù in Apocalisse (22,16) si dichiara “la stella radiosa del mattino”35; la Liturgia pasquale lo celebra come “la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto”. In 2Pt 1,19 si paragona la parola dei profeti “a lampada che brilla in un luogo oscuro finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori”. La stella del mattino è, nuovamente, figura di Francesco, che “splendeva come fulgida stella nel buio della notte e come luce mattutina diffusa sulle tenebre”36. Ruggeri la raffigura a cinque punte, grande e gialla, distinta e antecedente rispetto agli altri elementi in quanto anticipa il giorno. Tratta dalla Vita seconda di Tommaso da Celano, la seguente visione dell’anima di Francesco che sale in cielo pare la didascalia dei suoi cieli vetrati: “Era come una stella, ma con la grandezza della luna e lo splendore del sole, e sorvolava la distesa delle acque trasportata in alto da una nuvoletta candida”37. L’acqua, non sempre distinguibile dal cielo per il blu compatto e intenso, introduce nelle vetrate un orizzonte inferiore che dialoga con l’immensità celeste.
Nei battisteri Ruggeri ne enfatizza la concreta presenza prevedendo ampie vasche (quando possibile con flusso continuo) esposte alla luce: nelle chiese del Sacro Cuore di Abano Terme, del Tabernacolo a Genova e dei Santi Clemente e Guido in Prato Centenaro a Milano queste si accostano alla vetrata, creando continuità tra le forme colorate accese sulle pareti e i loro riflessi, che l’acqua rende più evanescenti e mobili.
Altra figura ricorrente è la colomba: in volo, si staglia libera sopra ogni cosa e sovrasta il male. Negli ambienti di piccole dimensioni occupa talora un settore autonomo, spesso un tondo che funge da rosone. Enorme, nella controfacciata di Sant’Alessandro a Pavia (dove è accostata a un delicato tau azzurro, nel bozzetto una nuvola) domina il grandioso cielo blu per sconfiggere le tenebrose forze del male. Spesso gli si contrappone un nucleo scuro; nella chiesa degli Angeli Custodi a Milano la bestia di Apocalisse. Simbolo biblico di bellezza, di prontezza e di pace è, soprattutto, figura dello Spirito Santo che scende su Gesù dopo il battesimo. In relazione a tale episodio, Ruggeri la inserì anche nelle vetrate dei battisteri; in quello della chiesa di San Basilio a Milano compare in stormo. Per Ruggeri l’uomo deve “possedere ‘gli occhi della colomba’ per vedere il fremito del volto di Dio”38.
La colomba è, inoltre, figura dell’anima dei francescani39 che “Dimentichi delle cose passate, si protendono sempre in avanti coi passi mai stanchi, e volano come le nubi o come le colombe verso le loro colombaie, premunendosi con ogni diligenza e cautela perché non vi entri la morte”40. Candidi e liberi, si muovono infatti per il mondo attraversando ogni con- fine per portare pace e salvezza.
Altro segno presente nelle vetrate è il tau. Ultima lettera dell’alfabeto ebraico, designa Dio sostituendone l’impronunciabile nome (Sap 14,21) e, analogamente all’ultima lettera dell’alfabeto greco (l’omega) è riferimento alla perfezione. Per la forma di croce commissa è simbolo della crocifissione, che Ruggeri raffigura spesso di colore rosso. Con il tau san Francesco apriva e siglava le lettere. Narra la Leggenda Maggiore:
E in realtà il santo nutriva grande venerazione e affetto per il segno del Tau. Lo raccomandava spesso nel parlare e lo scriveva di propria mano sotto le lettere che inviava, come se la sua missione consistesse, secondo il detto del profeta, nel segnare il Tau sulla fronte degli uomini che gemono e piangono, convertendosi sinceramente a Cristo41.
In questa accezione è segno concreto di salvezza, poiché il Signore lo fece apporre su coloro che dovevano essere preservati dal castigo ordinando “Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme, e segna una tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono” (Ez 9,4).
Il sacrificio salvifico di Cristo è evocato soprattutto dalle grandi croci42 e da lingue rosse che irrompono tra gli elementi (del male) aprendo un varco alla vita e alla speranza43. Analogo significato assumono i fiori e i germogli che talora sbocciano entro contesti scuri, immagine della vita che rinasce.
Simbolo cristologico è, infine, il chrismon (chi rho), emblema di Risurrezione e del trionfo del cristianesimo. Ruggeri lo traduce in una sintetica stella a sei raggi, o a otto se combinato con la croce, quasi un asterisco di colore prevalentemente rosso, che brillando come un astro domina i cieli, sovrapponendosi ad altri elementi. Le grandi vetrate di Ruggeri agiscono dunque, con intelligenza artistica e liturgica, sul fruitore (e sul fedele) a livelli diversi. Producendo gioia dei sensi, contribuiscono a creare chiese belle e accoglienti entro cui ciascuno (credente o non, cristiano o non) può avvertire la presenza del sacro e raccogliersi in riflessione o preghiera. Secondo Ruggeri chi entra negli spazi sacri “deve infatti sentirsi nella casa del Padre, in un luogo pacificato e felice”44. Sono, inoltre, alto e sintetico ornamento alla liturgia ma anche ‘teca’ luminosissima di supporto alla Parola.
Mettono poi in scena paesaggi di simboli che parlano un linguaggio universale, attingendo a un immaginario comune di segni archetipi che oltrepassa e comprende i confini temporali, geografici e religiosi. Concezione della Natura e della Storia sono però cristiani e indicano in Cristo la via della Salvezza.
Emerge infine una forte matrice francescana, non solo nella positiva considerazione del Creato, ma anche nella citazione di un immaginario specifico, riferito a san Francesco e alla missione del suo Ordine. La stessa idea di bellezza è mediata dal santo, come suggeriva Ruggeri: “Ma la bellezza sarà tanto bella da rendere necessario il fatto di garantirla a tutti, se non saremo capaci di guardarla con gli occhi di San Francesco, povero di tutti i consumi, ricco di tutti i beni”45.
1 Apocalisse 21,1. Nelle vetrate di Ruggeri la Gerusalemme celeste è continuamente suggerita ed evocata. Nel riferimento a fonte biblica, il presente testo adotta le convenzioni di citazione cattolica in uso.
2 S. Nicolosi, Medioevo francescano, Borla, Roma 1983, p. 50.
3 In considerazione di tale legame con il contesto, questa indagine è stata preceduta dalla visita di numerosi siti (soprattutto lombardi e veneti) e (ove possibile) dal dialogo con testimoni. Poiché i casi citati sono esemplificativi di un repertorio ricchissimo, distribuito in molte regioni italiane e non sempre facilmente accessibile, si affida ad ulteriori studi il proseguimento della ricerca.
4 Cfr. C. Ruggeri, in N. Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore. Genesi di un artista cristiano, Marietti, Città di Castello (Perugia) 1990, p. 43.
5 Ruggeri realizzò, in molte occasioni, croci bifacciali che presentano il Crocifisso sul verso e, sul recto rivolto ai fedeli, una Risurrezione astratta. Li denominò Croci gloriose, rifacendosi agli esemplari altomedievali che, oltre al sacrificio, rievocavano la parusia, presentando il mistero della croce nell’unità dei due aspetti di morte e risurrezione. Il riferimento tipologico è alle croci gemmate medievali, di cui due preziosi esemplari si conservano a Brescia, vicino al paese natale Adro: la Croce di Desiderio (IX secolo) in San Solario presso il Monastero di Santa Giulia (ora Museo della città) e la Croce del Campo (XI secolo) in duomo vecchio.
6 N. Fabbretti, Povertà e bellezza nella chiesa di S. Adele, in “Parrocchia di S. Adele” in Buccinasco, p. 3, presso Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
7 N. Fabbretti, Un frate ha scoperto sulla luna i segni della sua stessa arte, in “Il Giornale d’Italia”, 29. 30 settembre 1964, presso Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
8 Soluzioni analoghe si trovano nella chiesa di Sant’Anselmo Vescovo di Lucca a Malcantone di Sermide (Mn), nella chiesa del Seminario francescano di Figline Valdarno (Fi) e nel battistero della chiesa dei Santissimi Angeli Custodi di Milano.
9 C. Lonzi, Autoritratto, De Donato editore, Bari 1969, p. 170.
10 P. Klee, Poesie, Abscondita, Milano 2000, p. 81.
11 N. Fabbretti, Finestre su Dio e sull’uomo, in “Il Santo. Periodico del santuario di S. Antonio a Chiavari”, febbraio 1970, pp. 11-12, presso Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
12 Paolo VI, Omelia della Messa degli artisti nella Cappella Sistina,7 maggio 1964,in https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/homilies/1964/documents/hf_p-vi_hom_19640507_messa-artisti.html.
13 Ibidem.
14 Ibidem.
15 Cfr. C. Ruggeri, in Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 130.
16 Molti studi, collages colorati e modellini tridimensionali con carta e vetro colorato per verificare la reazione delle composizioni artistiche con la forma dello spazio destinato ad accoglierle, sono conservati presso la Fondazione Frate Sole di Pavia.
17 Il tema ritorna anche nelle vetrate della lanterna della chiesa di Santa Maria a Darfo (Bs) e, nel presbiterio della chiesa di San Bernardo di Chiaravalle a Roma.
18 Francesco d’Assisi, Il Cantico delle creature, in Fonti Francescane, a cura di E. Caroli, Edizioni Messaggero Padova, Padova 1996, (in seguito, FF.), p. 178.
19 Oltre vent’anni di serio impegno. L’intervento di padre Costantino Ruggeri, in “L’Avvenire”, 28 maggio 1978, p. 7. presso Archivio Fondazione Frate Sole, Pavia.
20 Ibidem.
21 P. Ricoeur, Il simbolo dà a pensare, Morcelliana, Brescia 2002.
22 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, vol. 1 (Il linguaggio), La Nuova Italia, Firenze 1996, 20.
23 J. Ries, Simbolo. Le costanti del sacro, Jaca Book, Milano 2008, p. 2.
24 G. Ravasi, Parlava loro in parabole. I volti diversi del simbolo secondo la Bibbia, in Fra C. Ruggeri, Stenografie dell’anima. Simboli epigrafici delle catacombe, Piemme, Casale Monferrato 1991, pp.145-166.
25 Idem (a cura di), Presentazione all’edizione italiana di M. Lurker, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici [Monaco 1987], Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 1990, p.VII.
26 C. Ruggeri, in Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 81.
27 Ivi, p.121.
28 Ivi, pp. 121-122.
29 “Questo lavacro si chiama ‘illuminazione’, poiché coloro che comprendono queste cose sono illuminati nella mente. E chi deve essere illuminato viene lavato nel nome di Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato”. In Giustino, Apologia 1, Il battesimo, LXI, 8.
30 J. Ries, Il sacro nella storia religiosa dell’umanità, Jaca Book, Milano 1981, nota 26, p. 95.
31 Francesco d’Assisi, Il Cantico delle creature, in FF., p. 178.
32 Tommaso da Celano, Vita Prima, cap. XV, in FF., p. 441.
33 Ivi, cap. XXIX, p. 474.
34 Francesco d’Assisi, Il Cantico delle creature, in FF., p. 178.
35 Anche Ap 2,28.
36 Tommaso da Celano, Vita Prima, cap. XV, in FF., p. 442. L’immagine, ispirata alla Bibbia (cfr. Sir. 50,6-7) e alla liturgia, fu tema del Sermone di Gregorio IX in occasione della canonizzazione di Francesco.
37 Tommaso da Celano, Vita seconda, cap. CLXIII, in FF., p. 727.
38 C. Ruggeri, in Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 71.
39 C. Frugoni, Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica di Assisi, Einaudi, Torino 2015, pp. 333-337.
40 L’Ordine e la predicazione dei frati minori, in “Historia Occidentalis”, 1. II, c. 10, Cronache e altre testimonianze non francescane, in FF., 1911.
41 Bonaventura da Bagnoregio, Leggenda maggiore, in FF., pp. 867-868.
42 La più possente si trova nella controfacciata della chiesa di San Paolo in San Rocco a Palazzolo sull’Oglio (Bs).
43 Di grande e drammatico impatto è la rossa colata di sangue che nasce dal sole nella vetrata della chiesa del Sacro Cuore di Abano Terme (Pd) e che colpisce la montagna, fertilizzandola, nella cappella delle Clarisse a Bienno (Bs).
44 C. Ruggeri, in Fabbretti (a cura di), Soltanto un fiore cit., p. 123.
45 Ivi, p. 107.